Il cardinal Bagnasco contro gli antifascisti: "Onda nera, nessuna emergenza"
Sono tempi in cui un sacerdote che dice ciò pensa senza farsi prendere dalle smanie del momento, anzi accarezzandole contro il verso del pelo, fa notizia. Dopo i duetti tra papa Francesco e il pontefice laico Eugenio Scalfari e le litanie terzomondiste di Nunzio Galantino, suona strano quanto detto ieri dal cardinale Angelo Bagnasco, ex presidente della Conferenza episcopale italiana e oggi arcivescovo di Genova e capo dei vescovi europei. Eppure sono cose di semplice buonsenso, ai confini dell'ovvietà: il grande allarme sul ritorno del fascismo non ha fondamento, si tratta di un pericolo sopravvalutato (sottinteso: per ragioni elettorali); i problemi veri, anche nel rosso capoluogo ligure, sono altri, primo tra tutti quello della disoccupazione. Leggi anche: Nozze in aereo? La gravissima accusa al Papa I giornalisti gli si sono avvicinati ieri, mentre Bagnasco era in visita al governatore Giovanni Toti e alla sua giunta, e gli hanno chiesto se non fosse preoccupato per il riapparire di camicie nere e teste rasate, visto che a Genova non si fa che parlare della contrapposizione tra CasaPound e gli antifascisti. Erano in cerca della solita dichiarazione ritrita, ma il presule li ha gelati: «Dobbiamo stare attenti a non enfatizzare delle cose che esistono relativamente. A me non pare che ci siano pericoli particolari, detto proprio onestamente. Il problema più importante da risolvere è il lavoro e su questo c'è una determinazione che fa sperare bene». Ha aggiunto pure che le aggressioni non si distinguono in buone e cattive a seconda di chi le compie: «Ogni forma di violenza, da qualunque parte arrivi, è sempre da rifiutare, assolutamente, senza però gridare “al lupo, al lupo” tutti i momenti». Che è quello che sta avvenendo, appunto. Posti di lavoro, dunque: c'è una richiesta più di sinistra, a maggior motivo nella regione dove, solo per la crisi dell'Ilva, rischiano lo stipendio seicento operai, considerati “esuberi” dalla proprietà? No, eppure stavolta sono proprio i progressisti a ignorare le parole di Bagnasco. Speravano in altro: un vibrante allarme sul ritorno del fez e del passo dell'oca, quello sì che sarebbe stato utile, nei comizi e in televisione, per ricavarne olio di ricino con cui purgare Matteo Salvini e quelli come lui. L'uomo che prese il posto di Camillo Ruini alla guida dei vescovi li ha lasciati però a bocca asciutta. E non ha salvato nessuno nemmeno nell'ammonimento pre-elettorale con cui ha denunciato le promesse a vanvera che fioccano da tutti i partiti: «Invito le forze politiche a dire cose possibili, realiste, a essere concrete e sincere, senza illudere la gente e il Paese, perché questo sarebbe indegno». Predica tanto doverosa quanto inutile. Bagnasco non ha mai avuto il carisma e la forza di Ruini, ma il coraggio di andare controcorrente rispetto alla vulgata progressista non gli manca. Nel 2014, quando era presidente della Cei, nella prolusione con cui introdusse i lavori dell'assise dei vescovi, usò parole durissime contro quella che definì la «dittatura» della «ideologia del genere» nelle scuole italiane, tramite la quale - disse - «si vuole appiattire la diversità, omologare tutto fino a trattare l'identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci, con amarezza, se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”». Idee che possono apparire fuori luogo rispetto al sentire del mondo mediatico. Del quale però Bagnasco non pare curarsi, come ha dimostrato pure stavolta. Il fascismo che torna travestito da CasaPound e da Lega è un tormentone di Repubblica, quotidiano caro a Jorge Bergoglio, e dell'intera sinistra, ma per lui è solo un gridare «al lupo, al lupo». Guarda caso, tra i progressisti nessuno ha ritenuto che le parole dell'arcivescovo di Genova fossero degne di essere commentate o rilanciate. E anche questa, per un sacerdote di livello così alto e in una campagna elettorale nella quale tutti si contendono il voto dei cattolici, è una notizia. di Fausto Carioti