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Tumore incurabile annientato con il caldo. Il caso dell'anziano guarito in 24 ore

Cristina Agostini
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Il paziente entrato in sala operatoria ha ottant'anni. È pronto, si corica sul lettino. Stende le gambe, la schiena è un po' indolenzita, il dolore all'addome si fa sentire a tratti. Imputa i suoi mali all'età, come fanno sempre gli anziani. Non fa troppe domande ai medici e non le fa nemmeno a se stesso. Della sua malattia qualcosa ha capito, ma non tutto. Qualcos'altro se l'è dimenticato perché le parole, soprattutto quelle più dure, alla sua età si dileguano chissà dove, non si sedimentano in testa. Fuori, in sala d' attesa, i famigliari aspettano a braccia conserte e piedi tamburellanti sul pavimento liscio. Non si può stare sereni quando il paziente ha una certa età. Il corridoio è quello di un ospedale. I medici fanno avanti e indietro, le infermiere trascinano carrelli di medicine e flebo. I colori sempre uguali e il silenzio è interrotto solo da poche chiacchiere che si trascinano di orecchio in orecchio. Siamo presso l'Unità operativa di Epatologia dell'Ospedale "Madre Teresa di Calcutta" di Monselice, in provincia di Padova. STORIA CLINICA - Facciamo un passo indietro. In primavera, ad aprile, all'anziano erano stato diagnosticati due tumori. Uno, il più pericoloso, si era infilato nel fegato. L'altro, poco più in là, aveva colpito il rene. Ventotto millimetri il primo, si era localizzato nella cupola epatica, subito sotto al diaframma. Un nodulo canceroso di venti millimetri, il secondo, si era scavato il suo spazio nel rene sinistro. Due tumori primitivi comparsi nel sottopancia di un uomo di ottant' anni, pronti ad allargarsi, a farsi spazio in un corpo già provato. Ma c'è dell'altro. Il quadro clinico in bilico, le malattie pregresse, il cuore zoppicante. Il signore non era solo anziano, veniva fuori da una storia clinica complicata. Soffriva di una cardiopatia e di episodi di scompenso. Un anno fa poi aveva contratto una epatopatia cronica HCV ed era stato sottoposto a una terapia con nuovi farmaci che avevano permesso l' eradicazione del virus. Da qui i controlli semestrali per tenere d' occhio il fegato. Il rischio di contrarre un cancro proprio in quell'organo indebolito era alto. E così è stato. Una tac di routine ha fotografato quell'agglomerato di piccole cellule malate attaccate al fegato e poi l' altra lesione al rene. Non gli erano state date troppe speranze. Anche perché un corpo così delicato non poteva essere toccato da forbici e bisturi. Un intervento chirurgico sarebbe stato rischioso. La pelle ruvida dell'anziano, il cuore affaticato, le condizioni precarie potevano precipitare subito dopo la sola anestesia. «L'unica strada percorribile in un paziente inoperabile chirurgicamente è la termoablazione», spiega il dottor Mauro Mazzucco, primario di Epatologia dell' ospedale. Termoablazione: un termine certamente poco conosciuto. Leggi anche: Ricordate Lorenzo, il "cuoco" del primo storico Grande Fratello? "Tumore maligno", la foto straziante ALTA TEMPERATURA - In realtà si tratta di una tecnica rodata, che esiste da vent'anni. «Un intervento, cioè, dove non viene utilizzato un bisturi, ma un ago che attraversa la pelle del paziente (via percutanea) fino a raggiungere la zona malata, uccidendo le cellule tumorali mediante il calore che raggiunge una temperatura di 150°», aggiunge il medico che ha diretto l' operazione. Al tavolo operatorio Mazzucco è stato affiancato da un anestesista e da due infermieri. I due tumori del paziente sono stati spazzati via dal calore. Le porte della sala operatoria sono rimaste chiuse per soli venti minuti. Il tempo di centrare i due noduli, annientarli e il dottore era già fuori dal reparto. La stretta di mano ai parenti. «È andato tutto bene. Il signore è guarito». Spazzati via i due mali in pochi minuti in un uomo di ottant'anni. «L'intervento è stato eseguito in sedazione profonda e respiro spontaneo, non è stato quindi intubato il paziente come avviene per l'anestesia generale. Il tutto è durato circa 20 minuti», conferma il medico con la semplicità della scienza che sbalordisce. L' anziano si è svegliato poco dopo. Energico e con l'incoscienza dell'età, si è alzato in piedi. Dopo ventiquattro ore dall'operazione, un'ecografia con mezzo di contrasto ha attestato la guarigione del malato. Un giorno di ricovero e via. L'ottantenne è tornato a casa, con due tumori sconfitti in meno di mezz'ora. «L' eccezionalità sta nell'età del paziente e nella particolare situazione clinica in cui si trovava, ma la termoablazione è una terapia ben nota in Italia», spiega Mazzucco. È un servizio erogato dai distretti sanitari, le Ulss. Quella di Monselice non è l' unica in Italia a funzionare bene, anche se i suoi meriti ce li ha. L'ospedale padovano detiene la più alta casistica europea di pazienti, ben 255, con cancro renale curati con termoablazione e un'efficacia del 98,5% dei casi. Pochissimi casi di complicanze. Pochissimi pazienti che non hanno superato l'operazione. NON PER TUTTI - La notizia di questi giorni, però, ha fatto impazzire il centralino dell'Ospedale di Monselice, preso d'assalto da pazienti e malati. Ma non siamo di fronte a un miracolo e nemmeno alla soluzione di tutti i mali. «Non tutti i tumori possono essere curati con la termoablazione e non per tutti può portare alla completa guarigione», spiega il primario. Gli organi cavi, per esempio, come vescica o esofago, non possono essere sottoposti alla tecnica, ma necessitano dell'approccio chirurgico. «Dipende inoltre dalla sede della lesione e dalle dimensioni del cancro: un tumore di dimensioni eccessive (sopra i 4 centimetri) non potrà essere curato con la sola termoablazione. A prescriverne l' utilizzo, in ogni caso, dev'essere l' oncologo che ha in cura il malato». di Miriam Romano

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