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Come usare il nostro nemico

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Caterina Spinelli
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Non ci piace, non la pensa come noi, non ci fidiamo. Ciononostante dobbiamo conviverci. Capita ai piani alti della politica, in famiglia, a scuola o sul lavoro. Nell' era della maleducazione dilagante ogni scontro diventa sempre più acceso. Le regole del comportamento sociale del resto sono leggi non scritte e qualcuno fa finta di dimenticarle. E qualcun altro non le conosce proprio, come il precisino burocrate che tratta male tutti (o quasi) solo per sentirsi importane quando ha il potere ma non lo status per farlo. Il presente è segnato da una gara a chi urla più forte, dalla vittoria dell' arrogante, che sa come prevaricare e non perde tempo ad ascoltare l' altro. Succede tutte le volte che assistiamo a uno scontro politico: gli avversari si parlano addosso e con la medesima intensità si infuriano in difesa di tesi imprescindibili o di sciocchezze colossali, convinti di avere sempre la verità in tasca. Purtroppo si è abituati a sostenere le proprie ragioni con attacchi al veleno e a vedere la pacatezza quasi come un atto sovversivo. Nelle rare volte in cui qualcuno si avvicina in modo affabile scatta il retropensiero: dove è la fregatura? Quanto sarebbe bello il mondo senza superbia e strafottenza. Scende in campo pure la scienza per avvertire: l' inciviltà è tossica, si propaga nell' ambiente seminando ostilità e abbassando il tasso di produttività. È logorante, lascia esausti, procura dispiaceri e compromette la nostra salute, dal cuore ad alcune capacità psichiche. Ecco perché bisogna fermarsi. Fare un passo indietro. E ripartire prendendo esempio dai cavalieri dell' Ariosto che, invece di tagliarsi a fette a vicenda, tenevano a bada la loro brutalità con la gentilezza. Che rende «umili, pronti ad apprendere e ascoltare, a mordersi la lingua e lasciar finire di parlare», come si legge nel volume di Carlo Rovelli Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza. LA TRASFORMAZIONE Quella che Adam Kahane - nel suo libro Usa il tuo nemico (sottotitolo: Come lavorare con le persone di cui non ci fidiamo, che non ci piacciono o con cui siamo in disaccordo), edito da Rizzoli - chiama trasformazione. Il canadese, esperto di gestione dei conflitti, ribalta l' idea «classica di collaborazione», fondata su una totale armonia tra i membri del gruppo, perché «fuorviante e spesso controproducente». E dimostra come sia più efficace una collaborazione «elastica», capace di gestire la discordia e il confronto per giungere a una soluzione. «Quando ci troviamo in situazioni complesse e non controllate, tra punti di vista e interessi in contrasto, dobbiamo scandagliare e lavorare con i nostri conflitti oltre che con i nostri legami; litigare oltre che parlare. Il dialogo a volte non basta», avverte Kahane. Bisogna però staccarsi dalla formula «io ho ragione e tu hai torto» che scivola immediatamente nel «io merito di essere superiore e tu inferiore», destinata a degenerare. Abbandonare la presunzione di controllo, rinunciare a irrealistiche fantasie di armonia, certezza e condiscendenza e accogliere situazioni caotiche di disaccordo (l' arricchimento arriva solo da chi la pensa diversamente da noi), tentativi ed errori, e co-creazione condivisa. L' importante è l' obiettivo da raggiungere - non con il fine giustifica i mezzi di Machiavelli e nemmeno con gli stratagemma de l' arte della guerra (attacca il tuo nemico dove non è preparato o tienilo sempre sotto pressione) - preferibilmente con correttezza e rispetto. Senza sprecare inutilmente energie nel cercare di cambiare ciò che fanno gli altri, essere disposti a migliorarsi per entrare pienamente in azione; non insistere per raggiungere un accordo preciso e muoversi tenendo aperta la porta a prospettive e possibilità differenti. Saper riconoscere gli errori (i propri e negli altri) è un salto in avanti, che attiva le energie consapevoli e permette di raggiungere un equilibrio. L' ULTIMA POSSIBILITÀ Al capitolo Quando resta un' ultima possibilità, l' autore racconta un aneddoto: era il 1996 e in Colombia si cercava una soluzione al conflitto che insanguinava il Paese. Fu organizzato un meeting a Bogotà: «L' incontro coinvolgeva generali, politici, docenti e presidenti d' azienda. Diversi capi delle forze armate Rivoluzionarie della Paese presero parte dai loro nascondigli sulle montagne. Trovarsi in un gruppo così eterogeneo suscitava nei partecipanti sia entusiasmo sia nervosismo. Un consigliere cittadino del partito comunista, scorgendo dall' altro lato della stanza un capo paramilitare chiese: «Vi aspettate davvero che mi sieda accanto ad un uomo che ha cercato di uccidermi cinque volte?». Santos (Juan Manuel Santos, uomo politico che aveva dato vita all' incontro, poi presidente della Colombia e Nobel per la pace nel 2016) rispose: «Vi sto invitando a sedere proprio perché non ci provi una sesta». Ovvio che per lavorare accanto al nemico deve convenire mettersi in gioco. Lo fa chi è consapevole di non avere la forza di obbligare gli altri ad agire secondo i propri piani, ma non è disposto ad adattarsi alle regole altrui. Ed è costretto a rischiare. «L' estensione elastica richiede che ci avviciniamo anziché allontanarci dalle persone diverse da noi. Impareremo di più nelle situazioni che troviamo più ardue, quando gli altri non fanno ciò che vogliamo e ci costringono a fermarci e a trovare una strada innovativa da percorrere», scrive Kahane. «È necessario diminuire l' attaccamento alle proprie opinioni, posizioni e identità: sacrificare il proprio io minore e limitato al proprio io maggiore e più libero». Sul lavoro, essere a livelli diversi della grarchia non impedisce di collaborare, però bisogna focalizzare l' attenzione sul problema e non su chi lo risolverebbe in modo diverso da noi. Mettere in conto che il confronto può affossare il proprio punto di vista e non implica necessariamente che si arrivi a incontrarsi a metà strada. Di ogni obiettivo raggiunto si deve fare manutenzione: la collaborazione è un processo dinamico, i risultati non sono mai definitivi. di Daniela Mastromattei

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