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Tribunali nel caos: colabrodo o inaccessibili

di Giovanni Ruggiero domenica 19 aprile 2015

3' di lettura

Dunque per rendere più sicuri i tribunali hanno organizzato una bella rissa. Sette feriti, qualche contuso, un po’ di vetri infranti. Botte da orbi. In attesa che qualche altro malintenzionato provveda a spargere di nuovo sangue nelle sacre aule, si sono portati avanti e hanno provveduto da soli: hanno organizzato una bella scazzottata davanti a Palazzo di Giustizia di Napoli, una cosa a metà tra un incontro di sumo e i film di Bud Spencer e Terence Hill. Risultato: cinque agenti in ospedale, un dipendente civile e un’avvocatessa al pronto soccorso, due avvocati identificati come responsabili dell’assalto, una porta sfondata. E la resa finale: le misure d’urgenza sono state revocate, tutto è tornato come prima. La sicurezza, sotto il Vesuvio, evidentemente è come il pesce fresco del Golfo: il giorno dopo puzza. A scatenare i tafferugli, infatti, è stata la decisione di attivare controlli con i metal detector. Strani oggetti sconosciuti questi ultimi: al tribunale di Napoli, forse pensavano che servissero soltanto di figura. E così quando, dopo la strage di Milano, hanno provato a farli funzionare sul serio, s’è creato il finimondo. Stupore, sorpresa, meraviglia. E code lunghe come la Quaresima: «Come facciamo a lavorare se ci vogliono tre ore per accedere all’aula dove abbiamo udienza?», hanno cominciato a chiedere gli avvocati. E ora dopo ora lo chiedevano con una faccia sempre più feroce. Tanto che alla fine loro, i re della difesa, hanno deciso di giocare all’attacco. Nel match con le guardie giurate hanno pure vinto. Peccato che abbia perso la sicurezza. Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. Da un rapido conteggio in una ventina di diverse città risulta che solo in sei tribunali sia di uso comune, a tutt’oggi, il metal detector. Dal che si deduce, che ovunque lo si volesse inserire, probabilmente creerebbe la medesima situazione napoletana, e probabilmente la stessa rivolta degli avvocati. Niente controlli a Roma, niente a Udine, niente a Perugia (esiste solo in corte d’appello), niente a Pescara, Isernia, Campobasso. Niente nemmeno a Venezia, dove la cittadella della giustizia è stata inaugurata solo due anni fa, ma senza far entrare mai in funzione la macchinetta scopri-armi. A Monza, invece, l’hanno attivata e usata con severità solo dopo la carneficina di Milano. Risultato? Anche qui lunghe code, proteste, caos. Non si è arrivati alla rissa, come a Napoli, ma in compenso si è arrivati all’assurdo: infatti è stato vietato in modo assoluto l’ingresso in tribunale alle borse che hanno una parte, anche piccolissima, in metallo. Come se davvero qualcuno potesse usare come arma impropria la fibbia della ventiquattr’ore… Il quadro appena descritto, a quasi una settimana dalla sparatoria milanese, la dice lunga sulla situazione sicurezza dei tribunali italiani che è più o meno paragonabile alla mia pratica dell’astrofisica nucleare: inesistente. La sicurezza nei tribunali italiani non c’era prima e non c’è adesso, e tutto questo non è molto rassicurante se si pensa che le aule di giustizia dovrebbero essere in teoria le zone più protette del Paese. E ancor meno rassicurante se si pensa che l’organizzazione della sicurezza in quei luoghi è affidata ai magistrati che dovrebbero poi garantire la sicurezza di tutti noi anche altrove. Proprio mentre, ricordiamolo, continuano a pioverci addosso minacce di ogni genere, con l’Isis che tra un po’ parlerà pure in dialetto napoletano per sfotterci meglio. E farci paura. Avere paura, del resto, a questo punto è inevitabile. Come ci si fa a sentire protetti se non si riescono a proteggere nemmeno i tribunali? Com’è finita la giornata di baruffa a Napoli, d’altra parte, ve l’abbiamo in parte già anticipato: la misura dei metal detector è stata ritirata. Tutto sbagliato, tutto da rifare: si ricomincia come prima. Dal che si deduce che la sicurezza nei palazzi di giustizia non esiste. O, se esiste, è applicata in modo da rendere impossibile lo svolgimento di qualsiasi normale attività. Qualcuno ha provato a suggerire una misura banale e alternativa, già in funzione in molte aziende pubbliche e private: l’utilizzo del badge, che permette di effettuare controlli senza aumentare i tempi di attesa. Ma i magistrati hanno detto no. Pare per ragioni di privacy. E si sa quanto le toghe ci tengano alla privacy. La loro, s’intende. Mario Giordano

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