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Coronavirus, Franco Bechis e il 34enne del call center morto a Roma: "Ecco perché negano i decessi"

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Roma, a 34 anni ucciso dal coronavirus. Mai malato, rimasto a casa ai primi sintomi, poi la terapia intensiva è arrivata troppo tardi. Franco Bechis racconta la storia di Emanuele - “un ragazzone pieno di vita” - che si è drammaticamente interrotta l’altra notte al policlinico di Tor Vergata. “Sei volato via tu, sano come un pesce fino a dieci giorni fa, e tutti giuravano che noi, a te, a chiunque come te non sarebbe accaduto. Era lo zero virgola per cento delle possibilità, e oggi come si fa a spiegarlo a papà Guglielmo e mamma Franca che ti piangono?”.

Il 34enne lavorava in un call center a Roma, era stato a Barcellona dal 6 all’8 marzo e al ritorno era andato a lavoro. Poi però ha iniziato a non sentirsi bene: è rimasto a casa, sembrava un influenza, invece non lo era. Ma lo hanno compreso troppo tardi, e anche quando la salute si aggravava la ricetta era sempre quella di isolarsi. “Fare un tampone? Ma no, non è necessario - scrive Bechis - se iniziassimo a fare tamponi a tutti, sai dove va a finire la nostra sanità? Ne hanno fatti molti al Nord, ne fanno a tappeto in altri paesi come la Francia e la Germania. Ma qui no, nel Lazio in particolare proprio no. Sono tutti terrorizzati di avere troppi malati in carico non potendoselo permettere”.

Il 34enne è la più giovane vittima del coronavirus registrata finora a Roma e Bechis punta il dito contro la “stessa solfa” di tutte le sere: “Ogni giorno se ne vanno centinaia di italiani e non è mai colpa del coronavirus. A sentire loro hanno tutti ‘comorbilità’ (altri malanni) importanti che sono stati la vera causa del decesso. Tanto è che ad oggi perfino fra i 3.456 caduti in Lombardia non ce n’è manco uno che sia morto ufficialmente di Covid-19, perché non esiste la certificazione ufficiale dell’Istituto superiore di Sanità”. Ma perché si negano ostinatamente i morti del virus contro ogni evidenza? È la domanda alla quale Bechis affida una “tragica risposta”: “Perché il nostro sistema sanitario non è in grado di curare quei malati come dovrebbe essere fatto. Non si fanno i tamponi per non prenderli in carico. Temo che in aree diverse del Paese dove i numeri sono enormemente superiori alla disponibilità di posti, non si insista con la terapia intensiva per tutto il tempo che sarebbe necessario e che ad esempio in Germania salva la vita a tanti anche quando sembra compromessa”. 

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