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25 Aprile, Bella Ciao vince sull'Eterno riposo: i parenti dei morti di coronavirus non possono salutare i loro cari, l'Anpi sì

Gianluca Veneziani
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Glielo dite voi ai parenti delle vittime di coronavirus che sarà loro vietato offrire un commiato ai propri cari, mentre i partigiani potranno tranquillamente partecipare alle cerimonie del 25 aprile per onorare i propri caduti? Glielo spiegate voi perché sia possibile scendere in strada per omaggiare uomini e donne morti 75 anni fa, mentre è proibito dare un estremo saluto a un papà, una mamma, un nonno, un fratello, una sorella morti di recente e in solitudine? Glielo fate capire voi perché il picchetto di vecchietti dell' Anpi sia ritenuto lecito, mentre una veglia in camera ardente con le dovute precauzioni, una presenza alle esequie in forma ridotta e un segno di croce a distanza per accarezzare simbolicamente il defunto colpito dal virus siano atti da condannare? Insomma, glielo spiegate voi del governo per quale dannata ragione sia lecito cantare in piazza Bella Ciao e non invece pronunciare un addio o un Eterno Riposo? 

 

C'è qualcosa che fa male nella recente disposizione del ministero dell' Interno che, dopo le proteste dei vertici dell' Anpi, ha consentito alle associazioni dei partigiani di prendere parte alle iniziative per celebrare il 75° anniversario della Liberazione attraverso la «deposizione di corone, innanzi a lapidi o monumenti di caduti». In un numero peraltro imprecisato: si consiglia «l' individuazione di un' unica rappresentanza» per evitare «qualsiasi forma di assembramento», ma non è escluso che altri si aggreghino... 

E fa male in primo luogo per una ragione logico-giuridica: mentre a tutti gli altri cittadini sono negate le libertà per un motivo superiore di ordine sanitario, i partigiani fanno eccezione, sono categoria a parte oltreché di parte e godono di libertà speciali per via della Liberazione. Ma soprattutto questa scelta ferisce per una motivazione storica e di buon senso: sulla Resistenza e sulla guerra civile si è divisa l' Italia, sulle macerie di quel conflitto è sorto un Paese lacerato, animato da livori, rappresaglie e vendette postume; sulle tombe di questi morti, delle vittime del virus, sulle loro ossa e sul loro sacrificio potrebbe risorgere piuttosto un Paese unito, consapevole, al di là delle differenze regionali e anagrafiche, di aver affrontato insieme, dalla stessa parte, questo tempo di lutto e rinunce. E invece, ancora una volta, si è preferita la memoria divisiva a quella condivisa, si è scelto il ricordo ideologico anziché la pietas umana e familiare, si è privilegiato il passato remoto e pieno di ombre al presente vivo e carico di dolore. 

 

Questo 25 aprile poteva essere un momento per consentire ai partigiani di celebrare la loro giornata ma anche un' occasione per i familiari delle vittime del Covid-19 di deporre un fiore sulle loro tombe. Si è scelto invece di fare distinzioni, di dare agli uni ciò che non è consentito agli altri. Non siamo ingenui, conosciamo bene le ragioni di natura sanitaria che suggeriscono di non celebrare funerali per i morti di coronavirus. Ma, adottando le dovute precauzioni e le misure di distanziamento che saranno valide per la "comunità dei vivi" dal 4 maggio, non si comprende perché non si possa fare altrettanto per la "comunità dei defunti". Anziché creare morti di serie A e morti di serie B, e trattare le vittime di Covid peggio dei defunti in camicia nera, ossia non rendendole degne neppure di un omaggio, una preghiera, un conforto.

Chi adotta queste misure dovrebbe rendersi conto che sulle esequie si costruiscono le civiltà, come ben sapeva Giambattista Vico, per cui sono proprio le consuetudini civili e religiose, ossia funerali, matrimoni e religioni, a rappresentare i pilastri delle nazioni. Il momento dell' addio, infatti, si nutre di un valore simbolico che va al di là della mera liturgia: è una forma di vicinanza nel distacco, di accompagnamento com-passionevole nella dipartita. Ogni morto vuole un coro di vivi che lo pianga; la sua assenza acquista senso grazie alla loro preghiera e permanenza.

 

E invece fa enorme tristezza vedere quelle tombe abbandonate, quei tumuli lasciati senza lapide ma con un' approssimativa croce bianca sopra a mo' di fosse comuni. È quasi lo stigma ulteriore che si aggiunge a quello di essere stati affetti dal virus. Ed è forse il sintomo della consunzione della nostra civiltà, che rinuncia a uno dei suoi riti fondanti, che dimentica il valore sacro, civile, letterario del Sepolcro, e privilegia solo i morti politici e di parte, condannando gli altri a quella che il poeta chiamava «illacrimata sepoltura».

 

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