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Coronavirus, "alcune cellule del sangue ci proteggono": la scoperta italiana che ribalta il quadro

Alberto Luppichini
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Durante la pandemia, in troppi si sono improvvisati soloni in materia di Covid. C'è chi, invece, in questo tempo di sovraesposizione mediatica, è rimasto in sordina a lavorare per il bene del Paese, preferendo al brusio delle parole la concretezza dei fatti. Proprio per un'analisi lucida sullo stato delle cose ci siamo rivolti alla dottoressa Ariela Benigni dell'Istituto Mario Negri, dove ricopre il ruolo di segretario scientifico e coordinatore delle ricerche per Bergamo e Ranica.

Dottoressa, l'allarme per una seconda ondata in Italia è reale?
«Possiamo dire che la prima ondata è passata. Tanto è vero che uno studio dell'Istituto Nazionale di Statistica e del Mario Negri fa vedere come a maggio e giugno di quest' anno non ci sia stato un eccesso di mortalità rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Il dramma del Covid si colloca quindi tra marzo e aprile. Da maggio la fase epidemica si è esaurita e ora siamo entrati in una fase di sorveglianza, in cui dobbiamo cercare di identificare le persone positive al tampone e i loro contatti, in modo da controllare eventuali possibili focolai. Questo è il motivo per cui i dati sono in costante crescita: fare più tamponi implica trovare più positivi».

Dai bollettini diffusi da certi giornali, passa il messaggio terroristico che i positivi sarebbero i nuovi malati.
«Bisogna chiarire un concetto: i positivi non sono necessariamente malati. I soggetti positivi al tampone comprendono le persone che potrebbero essere in una fase precoce della malattia e quindi potrebbero ammalarsi; ed in questo caso la carica virale del tampone dovrebbe essere alta. Ed anche persone che hanno avuto la malattia, ma che non hanno ancora eliminato completamente il virus: qui la carica virale è bassa. Ed infine, persone positive asintomatiche che non hanno mai sviluppato la malattia».

Che tipo di immunità si sviluppa?
«L'immunità dal Coronavirus non è solo l'immunità degli anticorpi, ma ci sono individui che hanno alcuni particolari tipi di "linfociti T", che sono cellule del sangue, noti come "cellule della memoria"».

Che importanza hanno le "cellule della memoria"?
«I linfociti T della memoria sono cellule che circolano nel sangue e che hanno incontrato le proteine di altri virus (raffreddore o altri virus con cui siamo venuti in contatto tramite le vaccinazioni), che possono avere parti in comune con le proteine del Sars-CoV-2. Le cellule della memoria conferiscono un'immunità specifica, ma bisogna ancora studiarle più approfonditamente. La presenza di queste cellule è stata documentata da un lavoro dell'Istituto svedese Karolinska. Gli scienziati svedesi hanno capito che alcuni individui sono stati esposti al Coronavirus, non hanno sviluppato anticorpi, ma non si sono mai ammalati. E si sono chiesti il perché. La risposta stava nella presenza nel sangue di questi individui di "cellule della memoria", che sono in grado di riconoscere il virus e di neutralizzarlo. Successivamente anche uno studio, effettuato in California, su campioni di sangue prelevati prima del Covid ha dimostrato che il 40%-60% dei campioni contenevano "cellule della memoria" capaci di riconoscere il Sars-Cov 2».

Qual è la durata dell'immunità portata da queste cellule?
«Quanto alla durata dell'immunità non sappiamo ancora molto. Nel caso degli anticorpi questi possono non essere più presenti nella circolazione dopo un certo periodo dalla malattia. L'"immunità cellulare" dovrebbe durare più a lungo, ma è ancora da verificare».

Che importanza hanno le vaccinazioni contro altri virus rispetto al Sars-CoV-2?
«Uno studio pubblicato recentemente su 137.000 individui ha dimostrato che la vaccinazione antinfluenzale, ma anche per lo pneumococco, la poliomielite e la varicella, riducono il rischio di infezione da SARS-CoV-2 se le vaccinazioni sono state eseguite 1, 2 o 5 anni prima. Questo potrebbe essere dovuto alle cellule della memoria che vengono prodotte in seguito alle vaccinazioni. Nei bimbi dunque potrebbero essersi formate nel tempo le "cellule della memoria" che riconoscono il virus e ne riducono la capacità infettiva. Per questo potrebbero essere i più protetti, perché vaccinati da poco».

Oggi la carica virale del Sars-Cov-2 è diminuita?
«La quantità di virus su una buona parte di tamponi è bassa. Una volta raccolto il tampone, si valuta quanto Rna virale è presente. Lo si fa con un metodo messo a punto negli anni '80 che amplifica le molecole di Rna virale attraverso i "cicli di amplificazione". Meno Rna virale c'è, e più si deve amplificare il campione. Studi della letteratura fanno vedere che un'amplificazione compresa fra i 34 e i 36 cicli indica che nel campione ci sono meno di 10.000 copie di Rna virale. Queste non sono sufficienti a infettare le cellule. In altre parole, se questi tamponi sono messi in contatto con le cellule in coltura, non le infettano. Se i cicli di amplificazione dell'Rna sono inferiori ai 34 cicli, il virus presente nei tamponi è in grado di infettare le cellule».

Quando si parla dei tamponi effettuati, ci si riferisce a quelli capaci di infettare le nostre cellule o a quelli con una carica virale irrilevante?
«Il problema è proprio di qualificare i tamponi. Bisognerebbe ragionare in questo modo. Distinguere fra i tamponi effettuati quelli con una carica virale alta da quelli che possiedono una carica virale bassa, che non è in grado di infettare le cellule in coltura e presumibilmente non in grado di contagiare altri individui. Purtroppo non viene fatta questa quantificazione e si considerano sullo stesso piano entrambe le tipologie di positività. È necessario con urgenza rivedere il criterio di positività dei tamponi, qualificando con precisione i tamponi in base alla carica virale. Questo potrebbe essere un modo per esprimere sì il numero dei positivi, ma senza creare eccessivi allarmismi».

L'Italia è un Paese sicuro in cui soggiornare?
«Il virus continua a circolare, però mi sembra che stiamo gestendo bene questa fase, che è soprattutto di sorveglianza rispetto alle possibili infezioni. E mi sembra anche che potremmo essere in grado di affrontare in modo sicuro l'evolversi della situazione».

 

 

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