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Dpcm, qualcosa non torna: "Dov'è più facile finire in zona rossa", una truffa del governo?

Salvatore Dama
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Non è finita: dopo l'ordinanza del ministero della Salute che, l'altro giorno, ha rivisto i colori delle Regioni, venerdì prossimo il consiglio dei ministri varerà un nuovo Dpcm. Si prevedono nuove restrizioni, perché la curva epidemica non accenna a calare. E, peggio, si temono gli effetti negativi delle festività natalizie. Il ministro Speranza ha già deciso un giro di vite nella valutazione dei parametri. In particolare è stata rivista al ribasso la soglia Rt con cui si determinano le fasce delle Regioni. Ora si sta pensando a una nuova misura per comprimere ulteriormente le libertà personali dei cittadini e delle aziende, facendo scivolare quasi tutti i territori nell'area rossa, quella dove viene imposto un lockdown in stile 2020. La nuova regola è questa: se l'incidenza settimanale dei casi è superiore a 250 ogni 100mila abitanti scatta in automatico la zona rossa. Al momento si tratta di una proposta, avanzata dall'Istituto superiore di sanità, condivisa dal Comitato tecnico scientifico e avallata da Speranza. Deve avere l'ok delle Regioni. Un incontro tra esecutivo e governatori è fissato per lunedì. I presidenti delle giunte, però, fanno trapelare le proprie perplessità. Una soglia del genere (250 casi settimanali ogni centomila abitanti) farebbe finire subito in zona rossa molte Regioni, a partire da Emilia-Romagna e Veneto. L'automatismo è sbagliato, sostengono i governatori, perché rischia di penalizzare quelle Regioni che fanno il maggior numero di tamponi, oltre a essere una sorta di disincentivo al contact tracing, che spingerebbe le istituzioni locali a non cercare capillarmente i casi di contagio per evitare il lockdown. E, in più, non terrebbe conto della diversa organizzazione delle strutture ospedaliere sui vari territori.

IL TERZO PICCO
Speranza ha già fatto sapere come la pensa. Cioè, che non c'è speranza: «La verità è semplice», dice al Corriere, «la battaglia è ancora dura e la seconda ondata non è mai finita davvero. Adesso c'è una ripartenza e arriverà il terzo picco». L'avvio della campagna vaccinale non aiuta. Non lo farà fino a fine anno. Dunque si andrà avanti con le restrizioni. Però i governatori insistono perché, a nuove chiusure, corrispondano opportuni risarcimenti per le categorie danneggiate. I presidenti delle cinque Regioni che da lunedì entreranno nella zona di rischio arancione - Veneto, Emilia Romagna, Lombardia, Calabria, Sicilia - chiedono, con una lettera al governo, «di fornire doverose e puntuali rassicurazioni circa un'immediata messa in campo di ristori e la loro quantificazione». Questo per evitare, scrivono Zaia, Bonaccini, Fontana, Spirlì e Musumeci, «ulteriori penalizzazioni alle categorie colpite e per scongiurare il rischio che interi comparti vengano definitivamente cancellati dalla geografia economica delle nostre Regioni». I cinque sottolineano «la ricaduta drammatica» dell'ultima ordinanza del ministero della Salute «su imprenditori e operatori impegnati in attività produttive, commerciali, ricettive, turistiche, gastronomiche, sportive e ricreative».

 

 

BONIFICI IN RITARDO
 Non basta. Si apre anche un contenzioso sui risarcimenti passati. «Sono stati eseguiti tutti i bonifici dei ristori del decreto Natale» giura il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un post sul suo profilo Facebook. Un'enfasi che non piace ai rappresentanti delle piccole imprese. Che smentiscono il ministro. «Giungono in grande ritardo i bonifici dei ristori del decreto Natale ai titolari di bar, ristoranti e pasticcerie che hanno subito le restrizioni a causa del Covid nel mese di dicembre», dichiara il presidente della Fapi Gino Sciotto. «Artigiani e piccole imprese si trovano in grande difficoltà economiche da mesi e dovranno attendere ancora qualche giorno prima di ricevere i ristori che serviranno per lo più a fronteggiare i costi delle utenze e degli affitti. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, piuttosto che impegnarsi negli annunci, si cali nella realtà economica e sociale del Paese. È il momento delle scelte responsabili per salvare le partite Iva».

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