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Mostro di Firenze, Pietro Pacciani incastrato? "Il depistaggio decisivo, chi c'è dietro": la svolta

Francesco Amicone
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Settimana scorsa, sono stati consegnati ai carabinieri di Firenze alcuni documenti sulla connessione fra il serial killer californiano Zodiac e il Mostro di Firenze, scaturita dalle ammissioni riportate in una mia denuncia a carico dell'ex direttore del cimitero americano di San Casciano, lo statunitense Joe Bevilacqua. Fra questi documenti, c'è una relazione che mette in dubbio una delle "certezze" investigative sugli omicidi delle coppie perpetrati nei dintorni del capoluogo toscano negli anni '70-'80. Si tratta del collegamento fra i sette delitti firmati dalla pistola del Mostro e un duplice omicidio risalente al 1968, attribuito dalla giustizia italiana al marito reo confesso di una delle vittime, Stefano Mele. Questa è una delle tre novità che potrebbero agevolare la conclusione dell'inchiesta sul Mostro, un cold case su sette duplici omicidi di giovani coppie appartate nelle campagne fiorentine risalenti agli anni '70 e '80, per i quali esiste soltanto un'incompleta e contrasta verità processuale. Quella che ha visto nel 2000 la condanna definitiva per alcuni dei delitti del postino Mario Vanni e del "compagno di merende" Giancarlo Lotti, presunti complici di un Mostro morto prima del secondo processo d'appello, il contadino Pietro Pacciani. Le altre novità sono la rivista utilizzata dal cosiddetto "Mostro" per comporre l'unica lettera a lui attribuita, individuata l'anno scorso, e la scoperta di un clamoroso errore della polizia scientifica sulla scena del suo "ultimo" crimine.

 

 

UN "CITTADINO AMICO"
Il collegamento con il delitto del '68 nasce nell'estate del 1982. All'epoca, il maniaco delle coppie è in piena attività. Il 20 luglio, nello stesso giorno in cui viene pubblicato su La Nazione un appello dei carabinieri a un anonimo che ha aiutato le indagini sul serial killer, firmandosi in una lettera "un cittadino amico", gli inquirenti si imbattono nella scoperta che instraderà le indagini per i successivi sette anni. Probabilmente è stato il "cittadino amico" a indirizzarli. Nessuno di loro sa che "a friend" e "a citizen", "un amico" e "un cittadino", sono le ultime possibili firme utilizzate dal serial killer americano Zodiac nel febbraio e maggio del 1974, prima della sua scomparsa. I carabinieri aprono uno dei faldoni del fascicolo Mele e, a sorpresa, nel mare di carte, affiora un sacchetto con cinque bossoli e cinque proiettili. I reperti si trovano in un luogo inappropriato, accessibile alle parti e a chiunque autorizzato dal giudice competente. Risulteranno sparati dalla pistola del Mostro, probabilmente una Beretta. Per imprudenza, non viene effettuato un confronto approfondito.

 

 

Si scoprirebbe che bossoli e proiettili trovati non sono identici a quelli del '68. Come le prove originali, appartengono a cartucce di marca Winchester superspeed sparate da una pistola calibro .22 con un percussore a forma di sbarretta, ma questi dettagli generici non bastano a provare che siano gli stessi di 14 anni prima. Nella recente analisi che ha visto il contributo di una ventina di consulenti balistici emergono tre gravi discrepanze relative alle prove trovate nel fascicolo Mele e quelle degli omicidi di sua moglie e del suo amante per i quali è stato condannato. Le incongruenze più rilevanti attengono alle impronte dell'espulsore e dell'estrattore della pistola sui bossoli, descritte nel 1968 come «quasi irrilevabili», mentre sono ben visibili su quelli allegati al fascicolo. L'esperto, il colonnello Innocenzo Zuntini, pur sapendo dove si sarebbero dovute individuare queste tracce, non le cita nemmeno per escludere che la pistola sia un revolver (non ha estrattore ed espulsore). La loro "invisibilità" spiega perché non riesca a individuare la marca dell'arma, nonostante il sospetto che sia una Beretta e 35 prove di sparo. Al contrario, proprio perché i segni lasciati dall'arma del Mostro sono «chiaramente impressi», lo stesso esperto, chiamato a esaminare i reperti del Mostro nel 1974, riuscirà facilmente a individuare il possibile modello e la marca dell'arma, una Beretta della serie 70. La terza incongruenza si riferisce a un proiettile che nel 1968 presentava «una sbavatura di metallo rivolta a destra» che non corrisponde a nessuno dei cinque proiettili rinvenuti nel fascicolo. Le prove sono state sostituite per far collegare con l'inganno i crimini del Mostro al delitto del 1968 e l'autore del depistaggio non può che essere il detentore dell'arma o un suo complice.

 

LA SCIENTIFICA SBAGLIA
Le speranze su una prossima soluzione del caso Mostro sono riposte anche nella recente scoperta di un errore degli inquirenti. Il 9 settembre 1985, a San Casciano in Val di Pesa, la polizia scientifica sta conducendo ricerche approfondite in una piazzola ai margini del bosco degli Scopeti. C'è una tenda vicino a una siepe naturale formata da cespugli, una Golf parcheggiata a breve distanza con il tetto macchiato di sangue. È l'ultima scena del crimine del Mostro e si trova lungo la strada che, tra vigne, cipressi e borghi antichi, dal capoluogo toscano conduce alla costa tirrenica. «Il giorno in cui un ricercatore di funghi scopre i corpi delle ultime vittime, una coppia di francesi», mi dice l'esperto balistico Enrico Manieri, «intervengono anche gli agenti della polizia scientifica, che però non notano i bossoli di fronte alla tenda. Gli stessi saranno individuati l'indomani in altre posizioni». Manieri con il nickname "Henry62" gestisce un seguito blog dedicato al serial killer fiorentino dove entra nello specifico di delicate questioni tecnico-balistiche. «È un errore gravissimo commesso da chi indaga», osserva, «cambia la ricostruzione del delitto e, quindi, la verità processuale esistente mai revisionata dall'autorità giudiziaria». La presenza dei bossoli sulla scena del crimine in una posizione diversa da quella agli atti è inequivocabile nelle foto scattate dalla scientifica. «Si notano sei piccoli cilindri davanti alla tenda, nelle immagini di lunedì 9 settembre», spiega Manieri. «Sono chiaramente gli stessi bossoli che il giorno successivo saranno rinvenuti in posti diversi, spostati probabilmente dagli stessi agenti o da altre persone che hanno inquinato la scena del crimine». La posizione dei bossoli è un dettaglio fondamentale per capire dove lo sparatore era posizionato e, conseguentemente, per verificare l'attendibilità già ridotta al minimo dei testimoni Giancarlo Lotti e Fernando Pucci, pilastri delle accuse contro Pacciani e Vanni. Con varie discrepanze, alcune notevoli, le testimonianze di Lotti e Pucci si combinano con la ricostruzione degli inquirenti che, alla luce di questa scoperta, è certamente sbagliata. «Le pistole calibro .22, compresa quella del Mostro, solitamente espellono il bossolo almeno a un metro di distanza, verso destra e all'indietro. Per questo, è scientificamente molto improbabile che i bossoli finiti davanti all'ingresso della tenda appartengano ai primi colpi che attinsero i francesi, come erroneamente verrà dedotto, dopo il loro spostamento», spiega Manieri. Chi ha mosso inavvertitamente i bossoli prima che fossero individuati ha alterato la scena del crimine, inducendo chi avrebbe ricostruito gli eventi in vari errori, tra cui attribuire una posizione sbagliata allo sparatore nelle prime fasi del delitto. «A differenza di quanto riporta la ricostruzione ufficiale, basata sulle posizioni errate dei bossoli, i primi colpi vengono sparati a poca altezza dal terreno. Si deduce quindi che il serial killer iniziò a sparare con i piedi a un livello più basso, cioè nella scarpata che divide la piazzola dalla strada». Dopo i primi colpi, l'uomo riesce a sfuggire. L'assassino esce dai cespugli e spara sei volte verso di lui, cercando di fermarlo. Appartengono a queste cartucce i bossoli finiti davanti all'ingresso della tenda e poi spostati. Ma i bossoli dei primi colpi sparati alle vittime dove sono finiti? «Probabilmente nella scarpata, ma nessuno li ha cercati in quel punto», spiega Manieri. Forse sono ancora lì a Scopeti, nascosti nel terriccio fra la piazzola e la strada, da trentasei anni alla mercé delle intemperie e di cacciatori di "tesori" che, ancora oggi, con un metal detector potrebbero individuarli e portarli a casa come macabri souvenirs.

PIERO CHIARA E L'ORRORE
Il delitto di Scopeti è anche l'unico conosciuto a cui ha fatto seguito una lettera del Mostro. "Dott. Della Monica Silvia, Procura della Republi- (a capo ndr) ca, 50I00, Firenze" è il recapito composto da ritagli di giornale incollati sulla busta spedita da San Piero a Sieve, nel Mugello, subito dopo gli omicidi. Della Monica è una dei PM che per primi si occuparono delle indagini sui delitti seriali agli inizi degli anni '80. La busta conteneva un cartoncino, un sacchetto di cellophane sigillato con UHU Extra all'interno del quale c'era un frammento di seno della sua ultima vittima grande circa quanto un francobollo. Per 35 anni, è stato un mistero quale rivista avesse utilizzato il serial killer per la sua lettera di sfida. La polizia scientifica suggerì che dovesse trattarsi di un settimanale economico. Valeria Vecchione è la ricercatrice milanese che l'ha individuato, alla biblioteca "Sormani" di Milano. È il numero 51 di Gente in edicola dal 14 al 20 dicembre 1984. La rivista è stata scoperta nel febbraio 2020 e dovrebbe far parte delle più recenti acquisizioni della Procura di Firenze. «L'ho individuata grazie al "della" di Della Monica», ricorda Vecchione, «era l'unica parola che l'assassino aveva ritagliato per intero. Sul retro, si leggeva un frammento che poteva essere un titolo o uno slogan pubblicitario: "molte se"». La ricercatrice custodiva una copia di "della" nel portafogli come un santino, mentre vagava di biblioteca in biblioteca in cerca di una pagina che corrispondesse a quel ritaglio. Il giorno della scoperta, in biblioteca, Vecchione sfoglia velocemente le pagine di molti settimanali, cercando le parole 'molte se'. A tarda sera, arriva a pagina 36 e 37 di Gente numero 51 del 1984. Legge il titolo dell'articolo: "Care dolci acque non vi riconosco più: qui è finito il sogno della mia infanzia". L'immagine su due pagine ritrae lo scrittore Piero Chiara sulla sua imbarcazione nelle acque del lago Maggiore. Punta il dito su "della", come molte altre volte, e volta pagina. C'è una pubblicità della Zenit orologi. «Le parole "molte serate" corrispondevano al frammento del ritaglio. Mi è saltato il cuore in gola», dice Vecchione, «l'avevo trovata». Riverside, Lake Herman Road, Lake Berryessa, Blue Rock Springs, persino Washington Street vicino a Lake Street, scene del crimine di Zodiac, osserva Robert Graysmith nel bestseller "Zodiac" da cui è stato tratto l'omonimo film di David Fincher, contengono riferimenti all'acqua. Lo aveva già notato lo psichiatra Leonti Thompson, nel 1969. Per Zodiac, l'acqua sembrava rappresentare un'ossessione tanto quanto quel "paradiso" dove, secondo lui, lo avrebbero servito le vittime che uccideva. Dallo stesso titolo dell'articolo di Chiara, il Mostro ritagliò le ultime due lettere della busta, la E di "acque" e la Z, che è anche l'iniziale di Zodiac. «Normalmente le lettere anonime sono fatte da lettere di diverse forme che alla fine hanno un risultato molto disordinato», constata Vecchione. «In questo caso, invece, i ritagli sono stati selezionati con meticolosità e provengono tutti da titoli, fatta eccezione per i numeri e tre lettere di diverso font, il "ca" di republi-ca e la prima "e" di Firenze, ritagliate da una pubblicità all'interno dell'articolo di Chiara». Perché questa anomalia in "Ca" e "Firenze"? Non sarà un modo per rafforzare l'allusione a "California e Firenze", i luoghi dove Zodiac e il Mostro hanno colpito? Sulla pagina sul retro dei ritagli della pubblicità destano all'occhio due parole: "acque" e "paradiso". Le due ossessioni del maniaco americano. «È un po' più di qualche suggestione», ammette Vecchione.

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