Detenzione

Pedofili e stupratori, la durissima vita in cella: cibo, ore d'aria e lavoro? Tutto ciò che non sapevate

Claudia Osmetti

«Quelli si faranno una brutta galera»: così si dice, quando ci si trova di fronte a crimini particolarmente odiosi. Frase in genere seguita da quell'altra, «vanno sbattuti dentro per poi buttar via la chiave». Che poi, in un certo senso, è pure quello che succede. Quelli che, con espressione anglofona, oggi vengono definiti sex offenders - e dunque stupratori, autori di reati sessuali a vario titolo, in massima parte pedofili - è come se venissero condannati due volte. Prima all'interno dell'aula di tribunale. Poi dentro la stessa prigione. Premessa importante: nessuno, qui, intende in alcun modo giustificare personaggi di tal fatta. I loro sono i crimini più inaccettabili, più incivili che ci siano. Prendiamo il recente caso del ragazzo romeno che, martedì scorso, ha confessato di aver violentato e ucciso di botte la figlioletta della compagna, 18 mesi appena, a Como. Un essere abietto. Un orco. Siamo tutti d'accordo. E che cosa succede a quelli come lui, una volta che le sbarre della cella si chiudono, l'eco mediatica si spegne e il giudice di turno infligge la pena? Perché, signori, l'altro presupposto altrettanto necessario da ricordare è che lo Stato fa giustizia, non fa il giustiziere. E quando manda in galera qualcuno dovrebbe garantire un percorso di riabilitazione. Anche se si tratta del più infimo tra gli assassini.

 

 

CODICE D'ONORE - «Per chi commette reati di carattere sessuale sono previste sezioni dedicate speciali, in modo da tenere lontani questi soggetti dagli altri detenuti che potrebbero aggredirli in maniera anche grave» spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell'osservatorio Antigone, l'associazione che da anni monitora quel che avviene negli istituti penitenziari d'Italia. C'è una sorta di "codice d'onore", tra i carcerati: non tutti i crimini sono uguali e chi tocca un bambino la paga cara. «Addirittura basta un trasferimento. Se un detenuto in regime speciale viene spostato, magari perché deve presenziare a un'udienza, l'amministrazione penitenziaria deve prestare particolare attenzione durante l'operazione, perché è tutt' altro che raro che si verifichino lanci di oggetti, minacce, aggressioni verbali a volte sfociate in vere e proprie aggressioni fisiche». Ragion per cui, tolti i casi eccezionali, fuori dal braccio speciale i pedofili non si muovono. Per nessun motivo.

La mensa? Niente, ricevono i pasti direttamente in cella. Per loro sono banditi i laboratori, quelli nei quali i detenuti imparano un mestiere o proseguono quello che magari facevano "fuori". Devono dunque scordarsi le varie attività, lavorative e anche sportive o ludiche. L'ora d'aria è garantita soltanto grazie a un proprio passeggio che accede al cortile, e con un turno rigorosamente staccato dal resto della struttura. Distaccati dalla società "di fuori" ma anche da quella "di dentro". In poche parole, vivono del tutto isolati. Per anni e anni. Certo, se vogliono possono leggere, studiare. Più o meno è tutto. «Alcuni di loro riescono anche a procurarsi dei lavoretti interni, ma sempre limitati alla propria sezione» continua l'esperto. «Fondamentalmente queste persone trascorrono l'intero arco della loro pena a non fare nulla - aggiunge Rita Bernardini del Partito Radicale -. Restano chiusi nei loro spazi protetti e, anche se il carcere può contare su opifici e officine, come una falegnameria, per loro rimane inaccessibile. E hanno anche difficoltà pratiche e oggettive a relazionarsi con i volontari e chiedere colloqui con gli esterni».

 

 

SCONTI E PREMI - Altra questione: i pedofili, a differenza dei detenuti comuni, rimangono al gabbio il più a lungo possibile, pressoché senza permessi. «Raramente ottengono misure alternative, sconti e premi per la buona condotta - spiega ancora Scandurra -. È come se il sistema si rendesse conto di non poter fare più di tanto e, quindi, li tenesse dentro fino all'ultimo secondo». Ripetiamo, a scanso di equivoci: dire tutto questo non vuol dire minimizzare la gravità dei crimini, ma non deve neanche diventare l'alibi per dimenticare che uno Stato di diritto si fonda, appunto, sul diritto, non sulla vendetta. Nelle sezioni speciali, tra l'altro, non ci sono solo loro, ma tutti quei soggetti "a rischio": ex appartenenti alle forze dell'ordine, "collaboratori di giustizia" e poi, come detto, predatori sessuali in genere.

La fetta maggiore e più significativa, però, è proprio quella legata ai reati violenti che coinvolgono i minori. Abusi che gli altri carcerati non sono disposti a tollerare e - è successo - in alcuni casi nemmeno le guardie: ovvio, poi scattano le inchieste, le indagini e intervengono le procure. Per fare un esempio, a Torino è in corso un procedimento contro sei agenti penitenziari accusati di ripetuti atti di violenza e tortura nei confronti dei detenuti, in particolare quelli che in carcere perché accusati di reati sessuali o nei confronti di minori. Peraltro, una fotografia di quanti ce ne siano, al momento, nelle patrie galere è difficile anche solo da scattare: qualche anno fa - si parla del 2016 - si contavano 1.332 sex offenders, tra loro 400 stranieri e (sorpresa) anche 98 donne.