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Covid, Alessandro rifiuta l'intubazione e muore. Il figlio: "Perché credeva nel complotto dello Stato"

Serenella Bettin
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Niccolò Mores ha 21 anni. È il figlio di Alessandro Mores. L'uomo di 48 anni morto all'ospedale di Vicenza dopo aver rifiutato le cure. Dieci giorni fa aveva contratto il Covid ed era finito in ospedale. Niccolò aveva tentato in tutti i modi di convincerlo a farsi curare ma non c'era stato verso. L'aveva fatto con una telefonata. L'ultima. Disperata.

Niccolò, lei ha cercato di convincere suo padre a farsi intubare.
«Sì, dopo che lui aveva rifiutato il tipo di cure di cui aveva bisogno, i medici mi hanno chiamato per provare a convincerlo. Io sono il fratello più grande».

Cosa ha detto a suo padre?
«Gli ho detto che se non voleva farlo per lui, doveva pensare a noi. Non fare il solito supereroe».

 

 

E suo padre che le ha risposto?
«Mi ha detto... "ci sentiamo dopo". Ma alle tre di notte di mercoledì, l'infermiera mi ha chiamato dicendomi che dovevo essere forte perché il suo cuore non ce l'aveva fatta».

Cosa può aver spinto suo padre verso tali prese di posizione?
«Non lo so. Lui faceva l'agente di commercio, andava a lavorare anche se stava male. Ci teneva a non farci mancare nulla. Anche questa volta ha pensato che questo male sarebbe passato. E le sue convinzioni riguardo al Covid non lo hanno aiutato».

Di cosa era convinto? Perché era così refrattario ai vaccini?
«Era convinto fosse una semplice influenza. Aveva alcuni amici guariti. Ma non ci sono mai stati veri discorsi tra di noi su questo, ci assomigliamo molto caratterialmente e quindi abbiamo sempre preferito evitare».

Lei non la pensa come suo padre?
«Io sono vaccinato, ho già due dosi. Mio padre era l'unico della famiglia a pensarla così. Gli unici a parlargli al telefono questi giorni eravamo io e mio fratello. Io ho provato a supplicarlo in qualsiasi modo ma non c'è stato margine. Spesso era lui che mi rimproverava di essere una testa dura e io in passato l'ho ascoltato. Stavolta speravo fosse lui ad ascoltare me».

 

 

In famiglia nessuno ha provato a parlarci?
«Siamo persone umili, sappiamo cosa siano il sacrificio, l'educazione, il rispetto per le persone più deboli e bisognose. Il papà queste cose ce le ha sempre insegnate. Ma andava contro il sistema. Qui in Italia ci sono tante cose che non funzionano. Lui aveva partita Iva, niente di garantito. Essendo stato trascurato dallo Stato, soprattutto nel suo settore (alimentare), ha reagito in questo modo».

Aveva perso la fiducia?
«Sì, durante il primo anno del Covid non ha ricevuto chissà quale tipo di aiuti. Io stesso facevo il cameriere, e sono dovuto tornare a casa da mia madre. Mio padre vedendo lo Stato assente ha maturato questa idea del complotto».

I suoi fratelli sono vaccinati?
«Il più piccolo di 16 anni sì. L'altro più piccolino ancora no. Ma mio padre è sempre stato d'accordo sui vaccini, quelli che fai da piccolo. La tutela dei figli è sempre venuta al primo posto».

 

 

Suo padre aveva altre patologie?
«No. Sanissimo. Non fumava nemmeno. Da sempre contro le droghe. Quando poteva andava a correre e faceva sport. Nella sua mente lui credeva di potercela fare anche stavolta».

Crede sia stato l'orgoglio a muoverlo?
Non è stato un gesto suicida o egoista come tanti dicono, siamo una famiglia per bene. Lui credeva di potercela fare veramente».

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