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Covid, il dramma negli ospedali: pazienti "con la lettera dell'avvocato". Come pretendono di essere curati

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Le stesse drammatiche scene del 2020. I medici e gli infermieri che lavorano negli ospedali italiani si stanno trovando ad affrontare la stessa emergenza Covid di un anno e mezzo fa, sebbene oggi un'arma per fermare il virus, oltre alle terapie d'urgenza, ci sarebbe: il vaccino. Eppure, nei Pronto soccorso e nelle terapie intensive continuano ad arrivare pazienti in condizioni critiche. E la beffa è che, oltre al siero, molti di loro mossi da una incrollabile fede complottista, rinunciano anche alle cure dei medici per avere conferma della loro tesi delirante: il Covid è solo una influenza, usata dai poteri forti per imporre la dittatura sanitaria. 

 

 

 


"Gli eroi del 2020 oggi sono guardati con ostilità da chi nega l'esistenza del Covid», denuncia il presidente della società di rianimatori e anestesisti, Antonello Giarratano. Secondo i dati provenienti dagli ospedali, scrive il Corriere della Sera, "4 no vax-negazionisti su 10 fra quelli che raggiungono lo stadio più grave della malattia non ammettono qualsiasi genere di intervento terapeutico, dai farmaci all'incannulazione venosa, dall'ossigeno ad alto flusso all'intubazione". Nei casi più estremi, "pretenderebbero di essere curati secondo il loro «credo»: vitamina D, ozono, camera iperbarica" e addirittura "alcuni arrivano al Pronto soccorso con la lettera dell'avvocato dove si diffida i sanitari a operare diversamente da quanto «prescritto»".

 

 

 



La raccomandazione del comitato etico dei rianimatori ai colleghi è quello di "insistere" con i pazienti più duri e ossessionati, "per convincerli a cambiare idea. Non abbandonateli". "Questa nuova fase della pandemia da Sars-CoV-2 - si legge - sta ancora una volta causando un rapido incremento di ricoveri. Purtroppo con frequenza sempre maggiore sono segnalati casi di pazienti con Covid severo che rifiutano il ricovero in terapia intensiva e/o di sottoporsi a trattamenti di supporto vitale giudicati utili e appropriati". "Nessun trattamento può essere imposto anche se è un salvavita", si sottolinea, e "sotto il profilo etico non è possibile ipotizzare condotte differenti". Tuttavia "viene richiesto uno sforzo in più: non limitarsi a una semplice presa d'atto delle volontà del paziente ma dedicargli tempo, attenzione e rispetto cercando di persuaderlo «con ragionevole insistenza e in modo ripetuto», se è possibile, sebbene in condizioni di lavoro critiche e faticose. Occorre mantenere un atteggiamento «non giudicante». Quando «il rifiuto è ostinato il paziente non deve essere abbandonato». Deve anzi essergli garantito sempre un adeguato livello di cure e, qualora necessario, «la rimodulazione in chiave palliativa».

 

 

 

 

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