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Siccità, che fine hanno fatto i soldi del Pnrr per l'acqua?

Angelo Bonelli e la battaglia per l'acqua  

Francesco Specchia
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La siccità d’Italia, ovvero il grande teatro dell’assurdo. C’è qualcosa di folle, di nuovo eppur d’antico, nell’allarme lanciato sulle nostre risorse idriche. Certo, ora gli elementi della catastrofe idrogeologica ci sono tutti. 

Vado random. L’apocalisse agricola all’orizzonte, a cominciare dalle risaie del Piemonte in secca perenne. Il razionamento dell’acqua tra nord e sud, dalle campagne alle piscine. L’assurdo scontro tra nord-ovest e nord-est, ossia tra l’autorità di bacino del Po (prosciugatosi fino a 3,5 centimetri di profondità) e il Garda. Cioè: il grande fiume richiede 20-30 metricubi al grande Lago. Che si rifiuta sia perché anche lì granisce l’incubo d’un Sahara veneto; sia perché «siamo a 82 cm sopra lo zero idrometrico. Al Po ne servirebbero non 20 ma 500 metricubi. Sarebbe un’operazione inutile, che avrebbe un solo risultato: oltre al Po malato, avremmo anche il malato Garda». Almeno così raccontano a Repubblica dalla diga di Salionze, il leggendario plesso veronese che regola le emissioni lacustri.

Gli elementi della catastrofe ci sono tutti. E la politica finalmente si muove. Peccato che questa sete ecumenica si potesse prevenire. Alla presentazione del Pnrr da parte del Mite, il Ministero della Transizione Ecologica furono in pochissimi a denunciare la tragedia dell’acqua, esaminando la rete irrigua, i reflui, soprattutto la mostruosa dispersione nelle tubazioni di tutta Italia. 

«La catastrofe idrica per la siccità era ben nota al ministro Roberto Cingolani, ma non ha fatto assolutamente nulla. Questo perché la crisi climatica non è priorità di questo governo. Nel Pnrr solo 900 milioni stanziati contro la dispersione idrica», aveva gridato Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa verde, durante la appena passata giornata mondiale dell’acqua. Mentre tutti plaudivano alla “dragata ecologica”, ai mitici fondi del Piano nazionale di Ripresa e resilienza, Bonelli era stato implacabile.

Eppure tutti conoscevano i numeri. L’Italia spreca 104.000 litri di acqua al secondo per circa 9 miliardi di litri al giorno, «un dato inaccettabile, un vero crimine ambientale, se pensiamo che ogni anno nel mondo muoiono 8 milioni di persone a causa della siccità, delle malattie causate dalla carenza di servizi igienici e di acqua potabile», scriveva l’ecologista. L’Italia a causa della dispersione dell’acqua potabile, dovuta alle reti idriche obsolete e colabrodo potrebbe infatti “assetare” una popolazione di oltre 44 milioni di abitanti. Oggi, senza lo spreco di quelle risorse, la siccità non sarebbe un grande problema. 

Invece i tubi sono vecchi al 60%; e per le fognature e gli impianti di depurazione spendiamo la metà della media europea. Il Recovery plan, appunto, prevedeva inizialmente l’investimento di fondi da 4,4 miliardi a tranche, fino al 2026. Anche se ne occorrevano, in realtà, 14. Epperò, allo stato dei fatti, la realtà è più prosaica. 

Solo il mese scorso, il sito del Ministero ha comunicato ben altre cifre: «Sono 119 le proposte di interventi per aumentare l’efficienza delle reti idriche ricevute dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims) nell’ambito delle opere inserite nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) volte a ridurre le perdite d’acqua e digitalizzare e migliorare il monitoraggio delle retI». E resocontava: «Si è infatti chiusa il 31 maggio la prima scadenza temporale per la presentazione delle proposte, che saranno finanziate per un importo di 630 milioni di euro. La seconda, per interventi pari a 270 milioni, si chiuderà il prossimo ottobre. I lavori, per complessivi 900 milioni di euro, devono essere appaltati entro settembre 2023 e realizzati entro marzo 2026, secondo le tempistiche stabilite dal Pnrr». Occhio, i soldi non sono stati ancora spesi, ma appena assegnati. Assegnati con qualche problema, previsto sempre da Bonelli. Ossia, spiega sempre il Mite: «Le 119 proposte pervenute alla prima scadenza superano di gran lunga i 630 milioni di euro messi a bando: ammontano infatti a 2,1 miliardi euro, importo che sale a 2,6 miliardi considerando i cofinanziamenti da parte dei soggetti attuatori. Le regioni interessate sono 17, per un totale di 3.363 comuni. In particolare, 28 proposte (per circa 630 milioni di euro) riguardano interventi da realizzare nelle regioni del Mezzogiorno. La Commissione di valutazione già istituita, insieme all’Arera (Autorità di Regolazione per Energia reti e Ambiente), eseguirà l’istruttoria degli interventi presentati verificando il rispetto dei requisiti previsti nel bando e valutando dal punto di vista tecnico le proposte».

Entro luglio sarà definita la graduatoria e successivamente il Mims «procederà al finanziamento degli interventi selezionati fino all’impegno delle risorse disponibili per la prima finestra temporale».

Cioè i soldi, come previsto, non bastavano. Dopo tutto questo tempo e i possenti proclami, il rattoppo della rete idrica italiana risulta dunque ancora agli inizi. Ma inizii inizi. E non è l’unico inghippo. Le “disponibilità” idrologiche “stoccate” esistenti al momento sono già limitate del 30-35% rispetto alle medie della stagione. Quando le temperature dell’aria raggiungeranno il valore massimo sarà un inferno. Aggiungeteci che, invece di fare ricorso a sistemi alternativi di approvvigionamento idrico, l’ Italia, per una norma incredibile ora vieta i dissalatori dell’acqua marina. E converrete che gli italiani stanno inesorabilmente precipitando, alla E.A. Poe, nel pozzo delle follia. Un pozzo senz’acqua...

 

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