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Smartphone vietato? E i bambini senza social tornano persino a leggere

Francesco Specchia
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Se vieti - o limiti - a tuo figlio i social network, il ragazzo preso da inevitabile horror vacui tecnologico, perderà gli amici, non toccherà più le vette di «resilienza e felicità» che gli assicura Instagram e tu sarai un genitore incapace di far rispettare le regole. Oltre ad essere stronzo. A leggere il giornalista americano Robby Soave, amplificato da un dotto pezzo di Claudio Cerasa sul Foglio, si ha l’impressione che, nel centellinare i social agli eredi, noi genitori conservative e poco liberal, abbiamo sbagliato tutto. Il Foglio parte dalla critica a Spencer Cox, ossia il governatore repubblicano dello Utah, il quale ha firmato un ampio pacchetto di leggi volto a limitare l’accesso dei bambini alle piattaforme dei social media. Coprifuoco digitale per gli utenti dei social di età inferiore ai 18 anni, e richiesta ai minori di ottenere il consenso dei genitori per registrarsi agli account, e controlli spietati sulle età degli utenti. Nello Utah.

«Cox ha detto di essere pronto a intentare causa per ritenere le società di social media responsabili dei danni causati ai giovani del suo stato, «guardando l’aumento dei tassi di depressione, ansia, autolesionismo dal 2012 a oggi», più problemi di salute mentale. Cioè: se state troppo incollati a smanettare sul display, cari ragazzi, vi rincoglionite. Un pensiero dalla logica stringente. Per capirlo basterebbe riguardarsi The Social Dilemma di Jeff Orlowski docufilm sul lato demoniaco dei social network, su loro parlare in modo occulto, sul loro disinformare, con gente che «ti si insinua nel tronco encefalico come una slot machine, ti dà dipendenza, e fa business cambiandoti le abitudini».

Ma Il Foglio cita «uno studio Pew Research del 2022». E sottolinea che noi genitori poco techno viviamo l’ansia del boomer; e ci intimoriamo al fatto che i nostri figli passino le ore fotografandosi con la bocca a culo di gallina chattando improbabili battute dei Pantellas (bravissimi, a piccole dosi), attratti da challenge idiote o da pezzi trap dalla bruttezza inenarrabile. L’invettiva dell’amico Cerasa è, insomma, contro la nostra «tecnofobia». Eppure, per le vacanze, io ho privato i miei eredi di pc, telefonini, social. Sono tornati a leggere libri (tre Agatha Christie, un saggio sui Nirvana, la bio di Pelè), a suonare musica rock e vedere western di John Ford che sforano ogni arco temporale di Youtube. Stanno tornando ad acquisire una coscienza critica. Dio benedica il maledetto Cox...

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