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Lo sciopero delle donne e la tentazione islandese di Repubblica e Stampa

Leporello
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Col mondo reale scioccamente distratto da guerre, stragi, crisi e migrazioni epocali è bello scoprire che nel fantastico universo dei diritti per tutti e dei doveri per alcuni, la parità di genere viva la sua entusiasmante primavera nell’autunno di Islanda. A Reykjavik infatti hanno scioperato tutte, premier Katrín Jakobsdóttir e ministre comprese, con lo slogan «Tu chiami questa uguaglianza?» poiché l’80 per cento di occupazione femminile, hanno spiegato, non può bastare, ci vuole il 100x100. E per essere più performanti e convincenti lo sciopero ha riguardato tutte le mansioni, non solo quelle retribuite. Così, incrociate le braccia, niente pulizia del bagno, niente spesa al mercato, niente spolverare e ramazzare, niente cucinare né camice stirate e nemmeno bucato lavato e steso. Una protesta decisa e totale quella delle donne islandesi, accolta perciò con euforica soddisfazione dalle fattucchiere nostre, i giornali di John Elkann, Carlo De Benedetti e la tivù di Urbano Cairo. Tant’è che adesso pensano fortissimamente di riproporla tale e quale anche da noi. Ovviamente non nel giorno di libertà delle colf e non senza aver prenotato per tempo al ristorante. 
 

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