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Manganello, le origini della parola e quel sonetto di Giuseppe Gioacchino Belli

di Massimo Arcangeli lunedì 4 marzo 2024

2' di lettura

Volano manganelli, vale a dire sfollagente. Il poeta romano Giuseppe Gioachino Belli, in un famoso sonetto (Er padre de li Santi), snocciola una nutrita sequenza di termini indicanti il membro maschile. C’è, tanto per gradire, anche manganello: «Er cazzo se pò ddì rradica, uscello, / ciscio, nerbo, tortore, pennarolo, / pezzo-de-carne, manico, scetrolo, / asperge, cucuzzola e stennarello. / Cavicchio, canaletto e cchiavistello, / er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo, / attaccapanni, moccolo, bbruggnolo, / inguilla, torciorecchio, e mmanganello».

La parola, un diminutivo di mangano (‘bastone’, ‘pertica’), ha il suo precedente più diretto nel latino medievale manganellus, con cui sono confrontabili sia l’antico provenzale manganel sia l’antico francese mangonneau (1155: mangunel). Le due voci transalpine denominavano una macchina da guerra in uso nel Medioevo, e realizzata sul modello delle antiche catapulte, con cui si lanciavano pietre o altri proiettili durante un assedio. È questo anche uno dei significati dell’italiano mangano. La sua origine è il latino cristiano manganum (“macchina”), un vocabolo di provenienza greca (mágganon) dalle svariate accezioni (‘palo’,‘argano’, ‘catapulta’, ‘sortilegio’, ecc.).

Torniamo a bomba, alla metaforica “membritudine” belliana. Il manganello dà pure il titolo a un feroce poemetto misogino quattrocentesco in terzine, distribuite in tredici capitoli, ispirato alla sesta satira di Giovenale. Nel componimento, compreso fra i libri della biblioteca di Leonardo da Vinci, una giovane, osservando uno schiavo, si accorge che «non havea brache, e mentre ch’ei montava, / li vide sotto un grosso manganello / c’apunto a un braccio mozzo assomigliava, / con una testa che parea d’un luzzo / di cinque libbre, che buttasse bava; / e la boccaccia havea senza capuzzo, / che parea di foco, tanto è rossa, / e negro com’un merlo l’altro buzzo. / La schena larga quattro dita, / grossa come d’un spetiale un gran pistone, / dura la pelle come di camossa; / et havea pochi peli al pettignone, / con duo coglioni che parean duo sassi, / tanto era duri, e ner come carbone» (cap. X, vv. 35-48).

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