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Ponte sullo Stretto, ricorso per danno erariale: l'ultima minaccia di chi non vuole l'opera

di Fabio Rubini sabato 1 novembre 2025

3' di lettura

La caparbietà del governo nel voler aprire i cantieri del Ponte sullo Stretto non va giù a tanti. E come sempre quando si parla di grandi opere ecco piovere minacce di ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato fino ad arrivare allo spauracchio degli spauracchi: il danno erariale che comporterebbe, in caso di condanna, la responsabilità in solido. Ovvero, chi firma, paga di tasca sua. È l’Italia bellezza e il collegamento tra Sicilia e Calabria non fa eccezione. L’idea è mettere paura a ministri, tecnici e pure ai responsabili della Stretto di Messina Spa. Cioè a tutti quelli che dovranno apporre la firma sui progetti e che rischierebbero di dover risarcire eventuali danni erariali di tasca propria. E così ieri i primi a partire lancia in resta contro il Ponte è stato il WWF, con l’avvocato Aurora Notarianni, che al Fatto Quotidiano spiega con la paura di dover risarcire di tasca propria il cambio di toni da pare del governo. Poi preannuncia la strategia, con l’opera che dopo la Corte dei Conti, potrebbe finire davanti al Tar del Lazio, grazie a un ricorso presentato ad hoc, e pure alla Consulta. 

Spiega l’avvocato: «Stiamo già lavorando sulle questioni di incostituzionalità», cioè sul fatto che «hanno presentato un progetto vecchio, mantenendo lo stesso general contractor, cioè la società che all’epoca vinse l’appalto. Per farlo però ci sono dei limiti: partiamo dal fatto che il costo dell’opera non può superare del 50% il costo del progetto originario». Poi tira in ballo i cambi di composizione delle varie società che dovranno realizzare l’opera. In realtà questa narrazione è stata smontata dall’ad della Stretto di Messina Spa Pietro Ciucci, che ieri sulle nostre pagine ha spiegato come quel limite del 50% si applica a varianti rispetto al progetto originario, mentre i maggiori costi per il Ponte sono dovuti nella quasi totalità all’adeguamento dei prezzi. Ad ostacolare l’opera ci sono anche la sinistra e i sindacati, ma non tutti. La Cisl Messina, per esempio, si augura che la costruzione del Ponte prenda il via. In caso contrario «sarebbe una mortificazione per il territorio». Inoltre «il Ponte rappresenta un’opportunità di lavoro e sviluppo sociale ed economico».

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Anche la politica è tornata sull’argomento. Il vicepremier Matteo Salvini ha spiegato che il problema non è «aver abbassato i toni. Queste cose non mi interessano, io lavoro affinché il Ponte si faccia. Gli scontri non mi interessano. Ho visto sui giornali che imprese, categorie e grandi architetti hanno detto che l’opera si deve fare». Salvini ricorda poi che «il Ponte costa 13,5 miliardi, ovvero un decimo rispetto ai 204 miliardi di cantieri aperti». Ai Cinquestelle che tuonano contro il collegamento tra Sicilia e Calabria, replica secco: «Fosse stato per loro non avremmo avuto nemmeno la Tap». E conclude: «Purtroppo quest’opera è stata politicizzata. La fa Salvini? E allora va combattuta. Ma così si fa dispetto a siciliani e calabresi, che hanno il diritto di attraversare lo Stretto in 15 minuti anziché 4 ore e di pagare 7 euro invece degli attuali 42». Sempre in casa Lega sono scesi in campo anche i sottosegretari Alessandro Morelli e Federico Freni. Il primo ha assicurato che «si va avanti», ricordando che «in meno di tre giorni Webuild ha ricevuto quasi 8mila candidature di persone che vogliono lavorare a quest’opera straordinaria». Per Freni: «Aspetteremo le motivazioni della Corte. Prenderemo atto e interverremo con tutti gli strumenti che l’ordinamento ci mette a disposizione».

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L’altro vicepremier, Antonio Tajani, spiega che «il governo non ha bisogno di nuovi vertici di maggioranza, perché attendiamo le motivazioni». Meno conciliante il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, che si chiede: «Perché la Corte dei Conti non fa i conti in tasca a Giuseppe Conte che ci ha lasciato 40 miliardi l’annodi debiti?». Dall’opposizione oltre ai soliti strali di Bonelli e Conte, vanno registrate le parole di Elly Schlein: «La Corte dei Conti deve controllare i conti di chi governa. Meloni, invece, ha risposto: “Adesso vi facciamo vedere chi comanda”».

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