Libero logo

Quell’autocensura sugli ebrei aggrediti che certi giornali si sono imposti

Può succedere che in una città un tempo considerata la “capitale morale” dell’Italia dei turisti americani vengano aggrediti in pieno giorno e in pieno centro per il solo fatto di essere ebrei?
di Corrado Oconemercoledì 12 novembre 2025
Quell’autocensura sugli ebrei aggrediti che certi giornali si sono imposti

3' di lettura

Può succedere che in una città un tempo considerata la “capitale morale” dell’Italia dei turisti americani vengano aggrediti in pieno giorno e in pieno centro per il solo fatto di essere ebrei? È successo l’altro giorno a Milano e ieri Libero lo ha documentato in prima pagina con il giusto risalto e anche l’allarmismo che un episodio di antisemitismo dovrebbe destare. Più allarmante ancora è però che gli altri giornali hanno praticamente ignorato l’episodio, quasi come fosse un fatto “normale” e tutto sommato secondario.

Una autocensura grave sia che sia stata inconscia sia che sia stata compiuta con consapevolezza. Nel primo caso ci troveremmo infatti di fronte a un assopimento delle nostre coscienze, ormai quasi abituatisi all’antisemitismo strisciante nella nostra società; nel secondo caso invece si segnalerebbe un atteggiamento di paura e pavidità che non ci fa certo onore. Paura di cosa? Senza dubbio di essere additati anche noi come “sionisti” e di diventare perciò vittime sacrificali non solo di qualche sciagurato ma anche di quella vera e propria “polizia morale”, che di morale non ha nulla, che, in nome di una non meglio definita “causa palestinese” e di un molto presunto “genocidio”, isola e tende a escludere da ogni consesso sociale chiunque non ceda alla retorica trionfante che accusa il popolo e la nazione ebraici di ogni malefatta.

Non è difficile immaginare che quando i nazisti concepirono la “soluzione finale” fossero all’opera in Germania (e in Europa) meccanismi psicologici di massa non troppo dissimili. Anche allora, come attesta una vasta memorialistica, i cittadini, impauriti, ostentavano indifferenza, o si facevano “volenterosi carnefici”, o semplicemente rimuovevano per quieto vivere quel che pure vedevano accadere sotto i propri occhi. Ed anche allora i giornali, le accademie, l’opinione pubblica, non manifestarono segni di resistenza. Ora non si vuole certo dire che la storia stia per ripetersi negli stessi modi di allora, né che avrà necessariamente gli stessi tragici effetti.. Si vuole però segnalare un pericolo concreto, anche in considerazione del fatto che un minimo di reazione ed un’informazione corretta è il minimo che ci aspetta in un paese democratico e dopo che per anni e anni ci siamo ripetuti “mai più”.

Inutile dire che molta parte della responsabilità di questa situazione, e della deriva che sta avendo il nostro giornalismo, è da addebitarsi al trionfo della cultura woke. Per questa nuova e potente ideologia, che ragiona per gruppi sociali ed etnici e non per individui, i palestinesi sono per principio un popolo oppresso e i giudeo-cristiani dei colonialisti e degli aggressori. Che l’autore dell’aggressione fosse poi un pakistano fa sì che lo si cataloghi subito fra una vittima della nostra protervia e come il rappresentante di una cultura altra che va rispettata. A prescindere, senza reciprocità. Pensate solo cosa avremmo letto sui nostri giornali se fosse stato un musulmano, o il rappresentante di una qualsiasi presunta “minoranza”, la vittima dell’aggressione?
Di fronte alla potenza dell’ideologia, come è noto, non c’è analisi seria della realtà che tenga, né è possibile immaginare alcun contraddittorio basato sull’argomentazione razionale. Sarebbe però auspicabile che un minimo di reazione ci fosse da parte di chi parla a ogni pie’ sospinto di “deontologia professionale”. Nella barbarie si può precipitare lentamente, quasi senza accorgersene.