Pensioni: Brambilla, quota 100 conviene e anche tanto
Roma, 27 nov. (Labitalia) - "Al contrario di quanto detto dall'Upb e anche dall'Inps, non è affatto vero che chi va in pensione con la cosiddetta quota 100 perde fino al 30% dell'assegno. Di qui al 2022, chi usufruisce della quota 100, intesa come 62 anni di età e 38 di contributi, in realtà ci guadagna". Lo dice a Labitalia Alberto Brambilla, già sottosegretario al Lavoro, docente e consulente per le politiche previdenziali del vicepremier Matteo Salvini. "E' importante fare un distinguo, se vogliamo capire dov'è il problema e se vogliamo capire quello che a Salvini veramente interessa: e cioè dare l'opportunità di andare in pensione a quelli che, nonostante l'età e i tanti anni di lavoro, sono stati bloccati al lavoro dalla riforma Monti-Fornero", dice Brambilla che poi spiega: "Nel triennio 2019-2020-2021 andranno in pensione le persone che avevano maturato più di 18 anni di lavoro nel 1995 (riforma Dini) e quindi il grosso della loro pensione è calcolato col sistema retributivo. Un recente studio di Itinerari Previdenziali, attraverso le simulazioni realizzate con il motore di calcolo Epheso, analizza gli effetti della quota 100 su questi lavoratori". "Ad esempio, il caso di un lavoratore dipendente nato nel 1957 che al 31/12/1995 ha accumulato 18 anni e 4 mesi di contributi e per il quale la pensione è prevalentemente calcolata con il metodo retributivo. E l'assegno spettante con la pensione di vecchiaia a 67 anni e 10 mesi sarebbe di 20.397 euro netti, con la quota 100 di 16.616 euro netti all'anno, ossia inferiore di circa il 22,7%", precisa. "Ma è vero che -avverte Brambilla- la somma progressiva delle rate di pensione incassate nel caso dell'anticipo con quota 100 risulta più alta, rendendo così questa soluzione più conveniente rispetto alla pensione di vecchiaia, considerando anche i contributi non versati". "La somma delle rate versate fino a 96 anni con quota 100 ammonterebbe a 407.354 euro, mentre quella delle rate di pensione di vecchiaia sarebbe pari 342.688 euro. Ne risulta un vantaggio dell'anticipo del 18,9% e una convenienza nel 100% dei casi esaminati indipendentemente dal numero di mesi di anticipo", spiega il professore. "Decidendo di lavorare 5 anni in più -aggiunge- si sarebbero versati a carico del datore di lavoro (per 2/3) e del lavoratore (per 1/3) la differenza tra 382.744,15 euro e 342.688,39 euro, ossia circa 40mila euro di contributi in più. Ma, se anche non sottraessimo i contributi versati nei 5 anni, il vantaggio sarebbe pur sempre di un 6,4% e con il vantaggio, per molti non trascurabile, di lavorare 5 anni in meno".