Pensioni: Brambilla, 'in decreto quota 100 nulla per i giovani'
Roma, 31 gen. (Labitalia) - Nel decreto pensioni e reddito cittadinanza non c'è "nulla per i giovani, cioè per quelli che hanno cominciato a lavorare dall'1/1/1996 e che oggi hanno anzianità contributive fino a 23 anni e rappresentano almeno il 50% dei lavoratori in servizio". Così Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali, in un paper sulla quota 100, critica la mancanza di misure nel decreto per i giovani lavoratori, proprio quelli che pensano, spiega l'esperto, "che la pensione non l'avranno mai; che dovranno lavorare almeno fino a 75 anni; e che se anche avranno la pensione, sarà molto bassa anche per gli anni non lavorati tra un impiego e l'altro". La riforma Monti-Fornero ha introdotto una serie di rigidità soprattutto per i giovani, la cui pensione è calcolata interamente con il metodo contributivo. E la 'busta arancione' dell'Inps, ricorda Brambilla, "indica ai giovani i 75 anni come età di pensionamento di vecchiaia contributiva (oggi occorrono 71 anni di età anagrafica e almeno 5 anni di contributi), oppure per la pensione di vecchiaia, 67 anni di età con 20 anni di contributi e una pensione almeno pari a 1,5 volte l'assegno sociale, oppure 64 anni di età + 20 anni di contributi ma con pensione almeno pari a 2,8 volte l'assegno sociale". "Dire a un giovane di 24 anni che dovrà lavorare almeno fino a 75 anni significa bruciare tutte le speranze", avverte. "Per questi giovani smontare la legge Fornero sarebbe stata la cosa più equa e, dato che la prima erogazione avverrà tra circa 20 anni, anche la meno costosa e con un piano di ammortamento di modesto importo", afferma Brambilla. Dal decreto sulle pensioni, "purtroppo, i giovani sono stati totalmente dimenticati" rimarca Alberto Brambilla che indica come si sarebbe dovuti rivedere i requisiti per l'accesso alla pensione. A fronte degli attuali 67 anni di età adeguata all'assegno di vecchiaia con 20 anni di contributi e una pensione almeno pari a 1,5 volte l'assegno sociale, o dei 64 anni di età per l'assegno di vecchiaia più 20 anni di contributi ma con pensione almeno pari a 2,8 volte l'assegno sociale, "si sarebbe dovuto procedere a ridurre anzitutto l'importo della pensione da 2,8 volte l'assegno sociale a 1,6 volte, il che significa -dice Brambilla-consentire l'accesso alla pensione sia ai lavoratori con redditi alti sia a quelli con redditi medio bassi a 65 anni di età, che è un requisito più accettabile". Nel decreto pensioni e reddito cittadinanza si doveva poi "consentire il riscatto degli anni di laurea di almeno 3 anni di periodi di mancato versamento dei contributi, versando una cifra fissa (circa 4.800 euro per anno riscattato) totalmente detraibile". Brambilla sottolinea, invece, che quanto previsto dal decreto sul riscatto agevolato degli anni di laurea per gli under 45 "è una norma sperimentale di durata triennale, valida soltanto per i contributivi puri (i nostri giovani) che hanno ancora circa 20 anni di lavoro da fare e che quindi difficilmente usufruiranno della norma, versando soldi in contribuzioni che non si sa quale effetto potranno produrre". "Per giunta, il riscatto è fiscalmente detraibile al 50% anziché al 100% come avviene per tutti i versamenti contributivi; qui più che furbizia per far vedere che si fa qualcosa non facendo nulla ci pare di ravvedere una grande imperizia", conclude.