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Usa, elezioni Midterm: ecco perché Barack Obama ha perso

Giulio Bucchi
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Alle elezioni Midterm americane i repubblicani hanno conquistato la maggioranza dei seggi sia alla Camera sia al Senato, costringendo il presidente democratico Barack Obama a governare per i prossimi anni in minoranza, da "anatra zoppa". Pubblichiamo l'analisi di Glauco Maggi su Libero del 4 novembre, alla vigilia del voto: ecco perché gli Usa hanno voltato le spalle a Barack.   Il voto di medio termine di oggi deciderà se anche il Senato passerà sotto il controllo del Gop, il partito conservatore, che già domina alla Camera (233 seggi contro 199), dove sicuramente aumenterà la sua squadra. Ai repubblicani servono 6 seggi in più per arrivare alla maggioranza assoluta di 51 in Senato, strappandoli ai democratici. Tre, di fatto, li ha già in tasca - Montana, Sud Dakota, e West Virginia - dove i sondaggi non danno speranze ai Dem. Gli altri tre deve conquistarli in Stati «ballerini», dove il senatore democratico può essere battuto dallo sfidante del Gop, cosa probabile visto che la media dei sondaggi stilata da RealClearPolitics dà i candidati repubblicani in vantaggio in Alaska, Colorado, Arkansas, Louisiana, Iowa, mentre solo in New Hampshire e in Nord Carolina sono in testa le due candidate democratiche. E però proprio il Gop corre rischi seri di perdere il proprio senatore in Kansas (Pat Roberts è dietro), mentre in Georgia i due contendenti sono alla pari e in Kentucky il senatore Mitch McConnell, capo della minoranza repubblicana che diventerà il leader del Senato se il Gop avrà la maggioranza, stacca la sfidante Alison Grimes. La Grimes ha fatto notizia giorni fa quando, in tv, s'è rifiutata di dire se aveva votato Obama nel 2008 e nel 2012, prova di come il voto per rinnovare tutti i deputati e un terzo dei senatori sia un referendum sul presidente. E mentre il Gop ha attaccato i Denocratici come pedine obamiane che hanno votato la sua agenda, loro han tentato di scaricare lo stesso Obama, impedendogli di farsi vedere ai loro comizi - anche perché Barack non si ripresenterà alle prossime Presidenziali, e il gioco politico vuole che se ne prendano le distanze. I sondaggi hanno ribadito in questi mesi che la disapprovazione dell'operato del Presidente è del 40% circa. Perché? Sulla carta i valori macroeconomici degli States non sono negativi, perlomeno non certo come molti altri Paesi, con un calo della disoccupazione dal 10,2% dell'ottobre 2009, primo anno di Barack, al 5,9% del settembre 2014. Ma, nella vita reale, le condizioni di vita delle famiglie non stanno migliorando: in agosto 268mila persone avevano lasciato la cosiddetta «forza lavoro», portando il numero totale di americani «non nella forza lavoro» - cioè che non hanno un posto e non lo cercano attivamente - alla strabiliante cifra di 92,27 milioni di persone. Peraltro, proprio l'indice del «tasso di partecipazione alla forza lavoro» (che è il numero di persone che lavorano o che vogliono lavorare diviso per il totale degli americani oltre i 16 anni)riflette meglio la reale salute economica del Paese: più alto è il numero (il massimo storico è stato del 67% circa), più la popolazione sta partecipando all'attività lavorativa globale nel Paese; più è basso, meno sono gli americani coinvolti nella vita economica. Il tasso di partecipazione è calato in settembre dal 62,8% al 62,7%, ma ciò che più conta è che nell'ottobre del 2009, all'apice della crisi, il tasso era del 65,1%, più alto. E dunque, invece che invertire verso l'alto il trend della forza lavoro attiva, Obama l'ha via via depresso fino al 62,7%, minimo storico che riporta al 1977, prima che l'ingresso di milioni di donne sul mercato del lavoro lo facesse salire al massimo del 67-66% degli anni di Clinton e Bush. Con Obama, il Paese che si attendeva una ripresa vera ha subìto quindi una crescita asfittica. E la gente, al di là dei «macronumeri», lo sa perché lo vive. Con il guadagno della paga oraria media degli operai e impiegati passato in 5 anni da 18,7 a 20,6 dollari, tutto mangiato dall'inflazione, e la forza lavoro «a casa» e scoraggiata (ancora in 700mila hanno smesso di cercare un lavoro in settembre). E il potere d'acquisto delle famiglie fermo ai valori del 2009. Tanto che non stupisce che la «creazione di posti e la crescita economica» sia stata la questione indicata dal 41% come la principale nel sondaggio di ieri del Wall Street Journal-NBC. di Glauco Maggi

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