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Martin Heidegger, i "Quaderni neri" ne mostrano l'adesione convinta al nazismo

Andrea Tempestini
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Un segreto sussurrato, tramandato di padre in figlio. Un segreto racchiuso in 34 quaderni, rilegati con tela cerata nera, nascosti agli occhi del mondo, 34 quaderni che esistono ma è come se non esistessero, che ci sono ma che il mondo deve ignorare. Il segreto viene sepolto per qurant'anni a Marbach, sul fiume Neckar, la città natale di Friedrich Schiller. L'uomo che ha affidato il segreto al figlio, affinché lo custodisse, è uno dei più celebri filosofi del Novecento. Ma è stato anche un convinto nazionalsocialista. Sembra l'inizio del nuovo film di Indiana Jones, invece è semplicemente la cronaca dell'affaire filosofico del momento: è lo scandalo degli Schwarze Hefte, i Quaderni neri di Martin Heidegger, occultati al resto del mondo per decenni per volontà dello stesso pensatore tedesco e qualche mese fa resi noti con un disvelamento che ha generato un terremoto ancora non placatosi. A partire da questi inediti heideggeriani si sviluppa la densa indagine di Donatella Di Cesare, ordinaria di filosofia teoretica alla Sapienza, appena uscita in libreria con il suo Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri» (Bollati Boringhieri, pp. 352, euro 17). I nuovi testi appena venuti alla luce, infatti, vanno ad inserirsi nell'annosa querelle sulla militanza nazionalsocialista del filosofo. Il fatto è noto, ma sull'interpretazione il mondo accademico si divide: adesione temporanea, passeggera, limitata nel tempo e comunque non collegata ai temi essenziali del pensiero heideggeriano oppure momento cruciale di quella filosofia e con essa inscindibilmente annodato? L'assenza di riferimenti importanti alla questione ebraica nei testi di Heidegger ha finora fatto ipotizzare una lontananza del filosofo dai temi centrali della visione del mondo hitleriana. Il suo, insomma, sarebbe stato un nazismo fai da te, un hitlerismo immaginario, in fin dei conti slegato dalla prassi e dalle idee reali del Terzo Reich. Tutto questo fino agli Schwarze Hefte, in cui di ebraismo si parla senza reticenze. Per gran parte dell'intellighenzia di sinistra, da anni infatuata di una sorta di heigerrismo libertario mai esistito, è stato un trauma. Di Cesare affronta proprio questo tema, tenendosi fortunatamente lontana dai consueti toni processuali che in questi anni hanno visto per esempio un François Fédier nei panni dell'avvocato difensore, disposto anche a negare l'evidenza pur di preservare l'idolatria democratica di Heidegger, e un Emmanuel Faye nelle vesti della pubblica accusa, capace di vedere indizi di nazismo dietro alla più innocua virgola. Tutto il dibattito è sempre partito da un equivoco, per cui o si è nazisti o si è filosofi. Entrambe le cose insieme è impossibile. Eppure - ed è un fatto - Heidegger (e non solo lui) è stato un nazista e un filosofo. Di Cesare esce dall'equivoco, affermando senza mezzi termini che Heidegger fu non solo nazista, ma anche antisemita, e questo senza cessare di rivestire un ruolo fondamentale nella storia del pensiero europeo. La Seinfrage, la questione dell'Essere, è strettamente legata, in Heidegger, alla Judenfrage, alla questione ebraica, con l'ebreo a svolgere un ruolo cruciale nel processo di oblio dell'Essere. Anche in Heidegger e gli ebrei, tuttavia, non manca qualche passaggio a vuoto. Si ricorda, per esempio, che le parole «ebreo», «ebraico», «ebraismo» hanno solo quattordici occorrenze negli Schwarze Hefte. Quattordici apparizioni in 34 quaderni. Secondo Di Cesare, tuttavia, il filosofo sta parlando di ebrei anche quando utilizza termini come «desertificazione», «abilità di calcolo», «sradicamento» etc. Heidegger, quindi, parla di ebrei anche quando non ne parla. Ragionamento che, a ben vedere, contiene un'accusa piuttosto arbitraria. Se l'ebreo, per l'antisemita, va sempre smascherato a causa della sua capacità di camuffarsi, anche lo smascheramento dell'antisemita stesso sembra seguire lo stesso canone. L'approccio da pm filosofico, che l'autrice ha cacciato dalla porta, sembra così rientrare pericolosamente dalla finestra. Per l'imputato Heidegger, in ogni caso, la prescrizione sembra non arrivare mai. di Adriano Scianca

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