Di Maria Giovanna Maglie

L'ironia del Cav sul "lato B"è solo malizia innocente

Andrea Tempestini

di Maria Giovanna Maglie La scena è la seguente, depurata da furore politically correct e da obbligo di propaganda elettorale. Sul palco del raduno aziendale, affollato per via di visita del Cav, gli organizzatori fanno salire una gran bella dona, non un  uomo anziano e ingobbito, e lei si suppone che abbia accettato volentieri; il Cav si entusiasma, o recita la parte obbligata o perlomeno attesa, fa battute sulle visite a domicilio dei promotori di energia alternativa, com’è appunto la bella donna bruna e sorridente, alla quale domanda se è lei che viene (a domicilio) e quante volte. Lei se la ride e risponde che viene (a domicilio) tutte le volte che serve, anche cinque o sei, lui allora le guarda ostentatamente il culo e conclude che si tratta di un’offerta conveniente, subissato dagli applausi. Scena, dunque, di ordinaria italianità, che, e questa campagna elettorale surreale lo conferma, Silvio Berlusconi controlla e impone e domina come nessun altro sa fare. Ci vogliamo scandalizzare o vogliamo riconoscere che così è il nostro Paese?  Si passa col rosso, si fanno complimenti un po’ volgarotti alle signore, le quali se non gliene fanno corrono a mettersi a dieta o prenotano un vigoroso massaggio, si fanno le corna come vezzo ricorrente, ancorché  oggi un po’ assediato dal dito medio sollevato a mo’ di insulto, si trascorrono ore e ore a scalmanarsi per una partita di calcio, ricoprendosi di insulti, segnatamente in tv, e si tende sfacciatamente a farsi timbrare il cartellino al lavoro mentre si fa la spesa, tutti barzellettieri o almeno coniatori di battute feroci, tutti amanti della satira. Una battuta come «la Bindi è più bella che intelligente» per un italiano vale oro, sogna di averla pensata lui, altroché autogoal.  Il Cav per una battuta si farebbe tagliare un dito, il Cav non smetterà di farne finché vive, ma il Cav sa che certe battute gli italiani le adorano, tutti, anche quelli che fingono vituperio e scandalo per tanta attitudine pecoreccia. Ognuna delle scandalose e apparentemente ingenue uscite  ha l’effetto di scatenare pensosi sopracciò e valanghe di articoli indignati, ma ha anche l’effetto di far sorridere un sacco di gente. È il famoso effetto «tana libera tutti», perché Martin Schulz, oggi degno presidente del Parlamento Europeo, è un fazioso antipatico e scorretto, praticamente un kapò, ops, e il giudizio meditato su luci e ombre del fascismo lo condividono non solo decine di studiosi e centinaia di pubblicazioni, ma anche buona parte degli italiani, se togli comunisti, iscritti all’Anpi e funzionari di partito e sindacato tenuti all’obbligo rigido dell’antifascismo ma non al rispetto e alla difesa di Israele. Perché dovrebbe essere ancora un tabù? Mi piacciono le battute del Cav?  Qualche volta no, ma mi piacerebbe vedere indignazione condivisa per una frase come quella appena pronunciata da Enrico Letta, ovvero «era assurdo pensare che non ci fosse chi voleva votare per chi difende l’evasione fiscale», che tradotto in italiano significa che chiunque voti per il Cav è un delinquente e un evasore, o meglio che chiunque non voti per il Pd è un «fassista» o «un miliardario», come usa condire i suoi comizi Pier Luigi Bersani, a ricordo perpetuo che l’avversario o è un innominabile fascista anche nel 2013, o è un ricco ricoperto di sterco del demonio. Mi piacerebbe sentire fremere di sdegno qualcuno quando sempre Bersani si diffonde sulla statura di Renato Brunetta, e anche lì tutti ridono, e si scelga se sia perché gli italiani ridono di qualsiasi difetto fisico, ridono anche se qualcuno per strada cade rovinosamente, o sia perché è un platea di fedelissimi yes men e militanti. Abbondano ovunque. Mi piacerebbe che qualcuno ricordasse a Mario Monti che paragonare un presidente del Consiglio, che lo ha prima nominato commissario europeo poi lo ha tenuto su per un anno al governo, al comandante Achille Lauro di una scarpa alla volta è indecente. Qualcuno a Monti l’ha già ricordato, il Cav. Il quale Cav avrà pure un eloquio poco raffinato, ma quando da Telese e Porro ha proclamato quello che tutti pensiamo, cioè che lo spread è una cazzata, ha segnato un goal, altro che autogoal. Il Cav e i suoi bunga bunga spiattellati in provvidenziali intercettazioni e spiate, il Cav e i suoi sguardi al lato b delle ragazze, mi piace? Diciamo che non me ne frega niente, è altro che sarei pronta a rimproverargli in un faccia a faccia. L’altra sera dall’Annunziata ha giustamente rivendicato l’approvazione durante il suo governo di una legge di grande civiltà quale è l’obbligo di un terzo di donne nei consigli di amministrazione delle aziende. La sua promotrice, una minuta leonessa, si chiama Lella Golfo, è presidente della Fondazione Bellisario ed era deputato del Pdl. Era, non c’è rientrata nelle liste, sarà perché a chi le ha fatte delle donne non gliene importa un tubo, sarà che in molti deputati gliel’avevano pubblicamente giurata alla Golfo. Manca anche all’appello la deputata italo marocchina Souad Sbai, un pilastro contro la resa all’islam, una buonissima idea nel 2008, mentre il Pd schiera oggi composita lista arcobaleno nelle sue file e giustamente gongola. Capito, gentile Cav?  Qual è la percentuale vera di donne che sono state candidate per essere elette nel sistema del porcellum? Quanto è lontana dal quaranta per cento promesso? Cinque milioni di donne  in quota astensionismo decidono su questo, non su uno sguardo malizioso.