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Berlusconi, Mughini: "Deve lasciare per il bene dell'Italia"

L'Italia è esausta per i guai del Cav con la giustizia. Gli garantiscano una via d'uscita, per poter dire addio alla politica"

Giulio Bucchi
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  di Giampiero Mughini   Peggio di così si muore. Mi riferisco alla dose ormai alta all'insopportabile - per qualsiasi organismo politico-istituzionale - di processi in cui è imputato Silvio Berlusconi, quello che per tre volte è stato capo del governo e che nell'ultima campagna elettorale ha tirato pressoché da solo la volata alla coalizione di centro-destra sino a farle guadagnare un voto complessivo solo di un'inezia inferiore a quello ottenuto dalla vittoriosa coalizione di centro-sinistra. E a parte il terrificante processo che a Napoli comincerà da un momento all'altro, se sì o no Berlusconi nel 2007 ha versato del denaro ad alcuni parlamentari pur di farli uscire dal  recinto dei   favorevoli a Romano Prodi e dunque a votare contro di lui, ce n'è per tutti i gusti. Evasione fiscale, traffico di documenti coperti dal segreto istruttorio, avere indotto alla prostituzione una minorenne. Già due condanne in primo grado, probabile che da un momento all'altro arrivi una condanna in appello. Sono processi  sulla cui sostanza non metto becco, e anche se la condanna per avere fatto circolare la trascrizione di una telefonata di Piero Fassino appare certamente grottesca. Nell'Italia degli ultimi vent'anni abbiamo mangiato tutti pane e diffusione di carte coperte dal segreto istruttorio. Mi pare che di quel traffico si siano giovati in tanti, e magistrati e giornalisti giudiziari e uomini politici che dovevano intralciare il cammino di pericolosi rivali. Ovviamente gli adepti più stretti dell'ex capo del governo sostengono che è una persecuzione bell'e buona e niente di più. Il mio amico Fabrizio Cicchitto ha usato l'espressione «medici nazisti», e spero se ne sia già pentito. Daniela Santanchè dice che un partito e un elettorato non possono rispettare le istituzioni, se le istituzioni non li rispettano. Non che non abbia le mie idee al riguardo, ma sulla sostanza di quei processi non metto becco. Il punto è altrove. Il punto è per quanto tempo il malato Italia può sopportare una tale situazione, una tale violenza reciproca, un terzo degli italiani che dà a intendere di odiarne mortalmente un altro terzo, noi che paghiamo le tasse e che leggiamo sui giornali che l'Italia grazie allo stallo politico ci sta rimettendo quel che avevamo pagato di Imu. Andare avanti così, a furia di cazzotti in faccia e di appellativi estremi e di cortei non sappiamo bene di chi e contro chi? Andare alle elezioni schierati in campo a questo modo, l'1 contro 1 contro 1, un terzo degli italiani contro l'altro terzo e mentre il terzo costituito dai grillini sputacchia i primi due terzi? Se ho capito bene, Berlusconi rischia a questo punto un possibile arresto per lo meno ai domiciliari, quell'arresto da cui fuggì Bettino Craxi a diventare «un latitante» e ad averne spezzata la carriera politica. A vent'anni da Tangentopoli siamo ancora lì. Con in più una crisi economica che ci sta togliendo il respiro.  A chi tocca la prima mossa? Ho sull'argomento idee semplici. Non per niente leggevo da ragazzo libri dov'era raccontato che gli ufficiali tedeschi e i capi partigiani «trattavano» per salvare vite e scambiarsi prigionieri. Qual è oggi una «trattativa» possibile e sacrosanta per il bene di noi tutti? Da una parte che qualcuno garantisca a Berlusconi il suo destino personale e privato, e anche se lo so che non è facile in termini di giustizia che per antonomasia è indipendente dal potere politico e dunque non può chiamare la «colpa» altro che «colpa» e adeguarne la pena.  Solo che nei momenti di emergenza non è mai stato così. Dopo avere buttato giù il nazismo, gli ufficiali e magistrati inglesi e americani a Norimberga si sedettero accanto agli ufficiali e magistrati russi, di cui lo sapevano i crimini di cui erano stati capaci e in Urss e fuori dall'Urss. Gli inglesi se ne strainfischiarono dell'onore e consegnarono ai russi i soldati e gli ufficiali (russi) dell'armata Vlasov che si erano arresi nelle loro mani, e di cui lo sapevano che li stavano consegnando a chi li avrebbe triturati vivi. Roba lontana, certo. Non lo è l'idea della «trattativa» a evitare il peggio. Da una parte le garanzie a Berlusconi di non volerlo colpire al cuore, dall'altra un suo passo indietro e fuori dalla politica di prima linea. E questa volta un passo definitivo. Il berlusconismo ha compiuto il suo ciclo, i nostri nipoti ne leggeranno sui libri di storia.  Non è possibile che tutta intera l'identità, e dunque la vita o la morte, del centro-destra faccia perno sul nome e cognome di Berlusconi. È talmente evidente che non è possibile, e tanto più che se quel nome resta talmente cruciale nel gioco reciproco dei partiti e delle possibili alleanze, il Titanic su cui abitiamo tutti affonderà e basta. A queste condizioni il motore della nave non fa neppure un metro. Lasciamo stare se sì o no Berlusconi meriti lo stemma di rappresentare il Male Assoluto. Il fatto è che nella «rappresentazione» politica diffusa, e di cui si avvalgono in termini propagandistici gli avversari, lo è divenuto.  Nella storia e nella politica, ma in tutti campi della vita, c'è un momento per uscire, per salutare con la mano, per dire che è stato bello ma è finito. Charles de Gaulle lo fece due volte, e non è che fosse un tipino arrendevole. È stato uno degli uomini che hanno fatto la storia del mondo.      

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