Moralismo di sinistra

La Papessa Boldrini è la vera nemica delle donne

Giulio Bucchi

    di Davide Giacalone www.davidegiacalone.it Il donnismo politicante ha in odio le femmine. La papessa Laura (Boldrini) ha emesso una bolla contro il nudo. La versione fornita è quella banale e luogocomunista: non si usi il corpo della donna a fini di profitto. Ma provi a farsi portare le riviste di tutto il mondo e scoprirà che, dal profumo al termosifone, quei corpi si trovano per ogni dove. Salvo che nei Paesi e nelle culture in cui la donna è schiava, occultata, rinchiusa. Le autorità religiose di quei luoghi, d’illibertà e inesistente rispetto per la donna, come anche le crociate vaticane contro i costumi che considerano dissoluti, adducono tutte le stesse motivazioni: no alla mercificazione, no alla provocazione, no all’induzione verso la carnalità. I medesimi argomenti della papessa Laura. L’avversione di ceppo monoteista verso il sesso, che s’era stemperata nella secolarizzazione e che ora trova nuova linfa nel credo assoluto del perbenismo politico. La papessa ricalca gli stilemi delle peggiori difese nei processi per violenza carnale di un tempo, quando il retore togato si alzava a difendere il proprio violento e incivile cliente segnalando alla corte che il poverello stava bighellonando innocente e senza pensieri di crapula, fin quando incontrò la pulzella che mostrava il gluteo o si pavoneggiava nel far trasparire la turgidità del capezzolo. Signori della corte, non è forse questa una provocazione per la sua mascolinità? E nello scagliarsi contro la pubblicità la papessa si ritrova allieva del grande pretore Salmeri, che volle coprire i glutei sui quali campeggiava «chi mi ama mi segua». E sì che un tempo la rivolta femminista contro quei costumi repressivi e falsamente pudibondi consisté anche nello scoprirsi e nel mostrarsi, in un inno di riappropriazione del proprio corpo. Non mancarono sbavature ed eccessi, come non mancano mai, nel mondo libero. Come non mancano in certe pubblicità odierne, naturalmente. Ma sono un miliardo di volte migliori degli eccessi di quell’altro mondo, quello opprimente e negante. Inoltre, perché mai il problema dovrebbe riguardare solo le donne? La pubblicità fa largo uso anche del corpo maschile, mostrando corpi scolpiti e tartarughe addominali per reclamizzare la pomatina. Il che, sia detto per inciso, non produce alcuna disfunzione invidiosa in chi porta a spasso la pancetta, né m’induce ad evitare di radermi (perché anche l’idea che la barba debba crescere incolta e il corpo non debba essere profumato è tipica di quel mondo che mette il burqa alle femmine locali). Piuttosto m’induce a tenerezza l’idea che si possa conservare in eterno il volto liscio a culetto di bimbo, o che il capello possa ricrescere folto dopo essere caduto. E non so se la papessa ci ha fatto caso, ma quei corpi maschili vengono esposti, e talora accarezzati, in un non troppo celato ammiccamento omosessuale. Non si può dire? Mi lanciano una fatwa? A proposito: la futura enciclica sulla pudicizia prevede anche la cancellazione del Gay Pride? Che in quanto a ostentazione e denudazione non scherza punto. Sarebbe comico se, alla fine, l’unico sesso immondo e non evocabile fosse quello etero.  Dice la papessa che ci vogliono regole. E come le facciamo? Ad esempio: due note catene di intimo mostrano i loro modelli, maschi e femmine, ovviamente indossanti quel che cercano di vendere, ma poi guardi la faccia della ritratta (per i ritratti ho minore sensibilità, dite che dovrei dolermene?) e le leggi lo sguardo torbido di chi scivola nella lussuria. Che facciamo, papessa, regoliamo le occhiate? Invece credo che anche i nudi sono parte della nostra libertà. Anche il cattivo gusto è parte della libertà, proprio perché non devono esistere autorità incaricate di stabilire cosa e cattivo e cosa è buon gusto. Funziona il risultato. Io sarei arrossito se mi avessero trovato con il profumo dell’uomo «che non deve chiedere mai», perché lo trovo un concetto volgare e degradante. Ma mai mi sognerei di proibirlo. La papessa non lo capisce, ma nulla è più immorale della moralità di Stato. Nulla più repellente della bontà conformista ed esibita. Nulla più falso dell’omologazione moralista. E tutto ciò trasuda odio per il femminile non politicamente utilizzato. La libertà vale più dell’intruppamento nel pensiero corretto e del seguire la parola biascicata. Una sola cosa, preme sottolineare: se domani un qualche violentatore troverà un iscritto all’albo mallevadore capace di difenderlo facendo cenno alle parole della presidente della Camera, sostenendo che anche nelle più alte stanze del potere si vide il ponte fra ostentazione e violazione, spero che il collegio giudicante gliela contesti come aggravante.