Ezio Mauro, il ballista della Rivoluzione russa: tutte le menzogne nel suo libro sui comunisti
Come scrivere un libro sulla Rivoluzione russa? Anzi, perché scrivere ancora un libro su un evento storico che ci appare, a cento anni di distanza, così noto e popolare? Perché, come al solito, i grandi media ne hanno fatto una ricostruzione semplicistica e molto romanzata, limitandosi a ripercorrere l'avventura di Lenin, senza considerare che i protagonisti dell'Ottobre furono altri. Un libro sulla Rivoluzione dovrebbe ripercorrere la storia di due rivoluzioni, quella inaspettata del 23 febbraio e quella gloriosa (come ci mostra il film Ottobre di Ejzenštejn, molto lontano dalla realtà storica) della conquista del Palazzo d'Inverno, il 25 ottobre 1917. Magari facendo anche chiarezza sulle date: ad esempio, secondo il moderno calendario, diverso da quello giuliano in uso nell'Impero dello Zar, la Rivoluzione di febbraio avvenne l'8 marzo e quella di ottobre il 7 novembre. Si ha conferma di questo racconto superficiale della Rivoluzione russa leggendo i pezzi di Ezio Mauro che la Repubblica sta pubblicando nell'anno del centenario e che approderanno in un volume edito da Feltrinelli: L'anno del ferro e del fuoco. Cronache di una rivoluzione, che se mantiene l'impianto degli articoli potrebbe intitolarsi Fiabe di una rivoluzione. Lasciamo perdere alcuni particolari letti negli articoli: la traslitterazione di alcuni nomi russi è imprecisa (vedi Carskoe Selo, residenza dello Zar, traslitterata erroneamente in Zarskoe Selo) e a volte troviamo starec scritto in modi differenti. Lasciamo perdere anche alcune immagini dei video che accompagnano gli articoli di Mauro, dove il "topolino" giornalista scompare nei grandi palazzi della capitale zarista e inciampa nel pronunciare correttamente i nomi: Neva, Romanov e Carskoe Selo... Entriamo, da storici, nel merito. Le vicende narrate da Mauro non sono analizzate da un punto di vista storico sono spesso fantasione alla Emioio Salgari. Mauro insiste su aspetti entrati nella leggenda della Rivoluzione. È il caso del suo primo contributo, dal titolo Rasputin, il diavolo santo che annunciò la fine dello Zar. Su Rasputin, Mauro non fa neanche una onesta divulgazione, la narrazione delle vicende che legano lo starec alla famiglia imperiale diventa - nel racconto del giornalista - un grande intrattenimento. Notiamo che su Rasputin, invece di scrivere che le donne lo cercano per consumare un atto sessuale, Mauro avrebbe potuto notare cose più sensate e originali. Il giornalista, tuttavia, resta incantato dai luoghi della vecchia Pietrogrado e, invece di narrarci i segreti delle logge massoniche (che furono attive e che ebbero un ruolo importantissimo nelle scelte militari dello Zar prima e di Kerenskij dopo), si arrampica per i piani dei palazzi, immaginandosi orge sataniche, "gli spettri del caos" e il diavolo, che, ovviamente, fa capolino dalla sommità di una ardita e sontuosa rampa di scale. Sulla morte di Rasputin, descritta migliaia di volte, la narrazione di Mauro sembra non quella di un buon autore e divulgatore, ma quella di uno sceneggiatore della Hammer film, che conosce delle vicende passate solo la pellicola Rasputin e l'imperatrice con il grande Lionel Barrymore nella parte dello starec. Raccontando il finale del noto complotto del principe Feliks Feliksovi? Jusupov, Mauro scrive: «Il principe scese di nuovo, tastò il polso al monaco e con orrore vide aprirsi l'occhio sinistro, quindi il destro, fissi su di lui. E improvvisamente Rasputin balzò in piedi con la bava alla bocca cercando di afferrare il suo assassinio per la gola»… Be', che dire? Qui la grande Storia diventa un B-movie con il redivivo Bela Lugosi nel ruolo di un mostruoso Rasputin! Peggio fa il nostro Autore con il terzo contributo: «Pietrogrado, quel febbraio 1917 di rabbia e fuoco: e la rivolta diventa rivoluzione». La Rivoluzione di febbraio, nell'interpretazione di Mauro, sembra accadere per caso, grazie alle donne. Scrive: «Le donne che portano il peso del lavoro, della famiglia e del cibo che manca si ricordano che il 23 febbraio russo corrisponde all'8 marzo del calendario occidentale, il giorno della loro festa rovesciata in disgrazia». Qui la grande Storia diventa davvero una narrazione troppo superficiale e riduttiva. Certo, la Rivoluzione russa ha due momenti distinti: il Febbraio e, ovviamente, quello che è passato alla storia come il grande Ottobre. Oggi appare necessario scriverne una storia, anche breve, dove appaiono senz'altro Lenin e Trockij, ma le loro vicende devono essere accostate a quelle degli altri attori della Rivoluzione. È vero che la Rivoluzione di febbraio la fanno le donne, che tolstojanamente «non possono più tacere» e reclamano con forza il pane, la pace e i mariti che sempre più numerosi sono inghiottiti nell'«inutile strage». Ma ad animare la rivolta è uno sconosciuto e giovane sergente, Fëdor Linde, che non è citato da Mauro. Trockij, invece, lo ricorda: «l'appello diretto a scendere in piazza» era venuto da Linde. Kerenskij e poi Kornilov, loro malgrado, aprono la porta all'Ottobre e favoriscono l'affermarsi dei bolscevichi, che metteranno in scena una presa di potere che non ha nulla di eroico, anzi. di Roberto Coaloa