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Regionali, la Lega non vuole il nome di Berlusconi nel simbolo, nel Lazio fronda anti-Polverini. Dubbi su Casini. La maggioranza si prende a martellate

Maria Acqua Simi
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di Salvatore Dama 19.30: appuntamento da happy hour per l'ufficio di presidenza del Popolo della Libertà. Ma è difficile che duri solo un'ora e non è detto che sia un momento felice. Il vertice del partito unico, convocato in vista delle elezioni regionali, dovrà spicciare una serie di incombenze burocratiche, oltre ad assumere decisioni sull'alleanza con l'Udc. Nell'elenco delle prime figura la scelta del simbolo con cui presentarsi alle elezioni del 25 e 26 marzo. Pare facile: al presidente del Consiglio saranno sottoposte una serie di varianti grafiche per la lista del partito unico. Il logo del PdL con o senza il suo nome. Il simbolo con o senza il nome del candidato alla presidenza della Regione. Oppure la soluzione dove c'è “Berlusconi per” e il nome dell'aspirante governatore a seguire. simbolo unico Eppoi c'è l'opzione del tondo che deve affiancare, sulla scheda elettorale, il nome della Polverini o del Caldoro di turno. Nel 2005 c'era il simbolo della coalizione, la Casa delle Libertà, ombrello sotto il quale si ritrovavano un po' tutti: Forza Italia, Alleanza nazionale, Udc, Lega Nord, cespugli vari. Adesso? Problema: oggi c'è il PdL alleato al Carroccio. Quadro semplificato. Semplicato un piffero: specie al Nord la questione è quale simbolo deve affiancare i candidati sostenuti dai due partiti. L'altra volta, per esempio, Roberto Formigoni scelse un logo che richiamava il suo cognome senza insegne di partito. Possibile che lo riproponga. Ma i candidati del Carroccio? A via dell'Umiltà hanno studiato un simbolo diviso in due semicerchi: sopra il riferimento al partito unico, sotto Alberto da Giussano. L'ibrido verdeazzurro ai Padani non piace, però. Per il Veneto e il Piemonte preferirebbero una soluzione neutra per non confondere l'elettore, lasciando intuitivamente capire che vanno comunque barrati i simboli dei partiti. Ma soprattutto, i Lumbard non vogliono il nome di Berlusconi. E non è un problema grafico, la questione è politica. Lui, Silvio? Possibile che venga incontro agli alleati. Ha fatto trenta, lasciando le candidature in Veneto e Piemonte a Luca Zaia e Roberto Cota, farà pure trentuno. E sia. Ma non ci sono solo le paturnie leghiste sul tavolo del vertice azzurro. L'altra questione da decidere è l'alleanza o meno con i centristi. L'idea di arrivare alla riunione con un documento ultimativo nei confronti di Pier Ferdinando Casini (pare in un primo momento delegato alla penna affilata del ministro Sandro Bondi) è tramontata. Domani, a Montecitorio, si terrà un nuovo pranzo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, allargato stavolta a coordinatori e capigruppo: sarà quella, semmai, la sede per una decisione definitiva sul destino del sodalizio elettorale con i centristi. È Altero Matteoli, mentre solca il Transatlantico, a spiegare come stanno le cose: «Non possiamo imporre a un altro partito la linea da tenere». Niente aut aut ai democristiani, allora. «Ne ho parlato con Berlusconi: se un partito converge sui nostri candidati e sui nostri programmi, non possiamo rifiutare i loro voti». Nel frattempo sul tavolo dei triumviri è arrivato uno studio del responsabile del settore elettorale PdL, Ignazio Abrignani. Il documento in questione proietta i risultati elettorali delle elezioni europee sul voto regionale, tenendo conto della giungla dei sistemi elettorali locali. Cosa ne esce? Il partito dei postDc è sì determinante, ma solo in Piemonte e nelle Marche. Altrove il PdL è autosufficiente. Specie al Sud, dove l'80 per cento dell'elettorato centrista è moderato, il resto di sinistra. Se l'Udc va con il Pd, a via dell'Umiltà sono tranquilli lo stesso: il partito di Casini finirebbe per svuotarsi, dicono.  casini? no grazie Pure il quotidiano appunto che finisce sulle scrivanie dei dirigenti del PdL ieri invitava a non enfatizzare eccessivamente il soccorso centrista: «Non dobbiamo, non ci interessa rincorrere Casini». Ciò perché «alla stragrande maggioranza della gente interessa relativamente se l'Udc appoggia o meno un nostro candidato», vale «la credibilità di una candidatura». D'altronde le intenzioni di Pier sono chiare: «Allearsi con il PdL dove si è sicuri che vinca il centrodestra, allearsi con il Pd» nelle Regioni rosse, «andare da soli dove c'è incertezza». Berlusconi? Giornata intensa. Il presidente del Consiglio atterra presto a Roma per presenziare alla commemorazione di Bettino Craxi. Il Cavaliere evita di prendere la parola («Meglio evitare polemiche»). Poi vola in elicottero all'Aquila per far visita ai bambini di una scuola elementare, infine torna nella capitale: tour serale in bigiotteria, foto e autografi per i turisti. Rientrato a Palazzo Grazioli il capo del governo continua a occuparsi di Regionali. La grana più grossa è la Puglia, dove rimangono in corsa in tre: Adriana Poli Bortone, Alfredo Mantovano, Rocco Palese. L'Udc? Va messa alla prova: «Domani (oggi, ndr) al Senato c'è il disegno di legge sul processo in tempi certi. Vediamo che posizioni prendono, poi decidiamo».

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