Dopo 15 anni, torna la rabbia in Italia

Monica Rizzello

Torna la rabbia in Italia. I veterinari si attivano per affrontare la ricomparsa della malattia, in particolare nelle regioni del Nordest, a distanza di quasi 15 anni dall'ultimo caso riscontrato in un animale selvatico. È un problema che mette i professionisti della salute, e in particolare quelli dei servizi veterinari e dei servizi di prevenzione delle Asl, davanti alla necessità di individuare e adottare adeguate misure di controllo di questa malattia. In quest’ottica parte la giornata di studio “Che rabbia?!? Attualità e prospettive”, organizzata dalla Società italiana di medicina veterinaria preventiva (Simevep), con il patrocinio dell'assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna e della Facoltà di veterinaria dell'università di Bologna, in programma al Centro ricerche marine di Cesenatico il 12 marzo prossimo. Secondo gli esperti, le caratteristiche della nuova epidemia che presenta modalità e tempi di diffusione modificati rispetto al passato rendono indispensabile il “riaggiornamento” dei professionisti sulle metodologie e le tecniche più attuali ed efficaci per contrastarla, con l'obiettivo di eliminare l'infezione nelle volpi e ridurre il rischio di malattia per gli animali domestici e per l'uomo. Negli ultimi anni la rabbia, nonostante sia percepita come una malattia temibile per l'uomo, è stata dimenticata e relegata a ricordi lontani. Nell'ottobre del 2008, però, la malattia, dopo essere stata segnalata in precedenza in Slovenia e Croazia, ha fatto la sua ricomparsa negli animali selvatici in Friuli Venezia Giulia. Il primo caso è stato segnalato in provincia di Udine vicino al confine sloveno. In soli 12 mesi la rabbia si è rapidamente propagata in Veneto, in particolare nella provincia di Belluno, e a metà febbraio l'infezione è stata riscontrata in una volpe morta in Trentino, nella Val di Fassa. È un segno inequivocabile che l'applicazione delle misure di controllo, che in passato avevano consentito il contenimento e l'eliminazione della malattia, si sono rivelate in questa occasione non sufficientemente efficaci. Ancora oggi, quindi, dicono gli esperti, la prevenzione ha un ruolo determinante per contrastare la diffusione della malattia.