Via il capo, il Pdl balla
Il Cav è negli Usa, il governo va sotto. Gli ex An chiedono le primarie, i berluscones: vi sostituiamo tutti
di Fausto Carioti- A pensar male - esercizio notoriamente peccaminoso, ma che spesso avvicina alla verità - viene da dire che dentro al PdL qualcuno vuole rendere difficile l'accordo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. I due fondatori del Popolo della Libertà si stanno avvicinando con cauta circospezione all'incontro che dovrebbero avere domani (il condizionale è d'obbligo, visto che ancora non c'è niente di ufficiale). Berlusconi, a Washington con gli altri leader mondiali, parla di tutto tranne che di beghe italiane. Fini, nientedimeno, lunedì ha preso le distanze dal Quirinale, dicendo che per fare le riforme non è obbligatorio avere l'accordo dell'opposizione. Ieri il presidente della Camera ha citato il leader socialista Pietro Nenni e il suo «rinnovarsi o perire» per dire che le istituzioni vanno ammodernate, adesso o mai più. Insomma, sembra quasi che i due, pur non sopportandosi da tempo, siano consapevoli della delicatezza del momento e della importanza di trovare un'intesa sulla giustizia, il presidenzialismo, il sistema elettorale, il fisco e tutto il resto, e si stiano sforzando di arrivare al faccia a faccia senza rancori né questioni sospese. Del resto, l'opposizione è alla canna del gas, e gli unici avversari seri che Berlusconi, Fini e Umberto Bossi possono trovare da qui al voto del 2013 sono loro stessi. L'occasione è d'oro. I due fondatori del Popolo della Libertà si stanno avvicinando con cauta circospezione all'incontro che dovrebbero avere domani (il condizionale è d'obbligo, visto che ancora non c'è niente di ufficiale) Schiaffi tra le due facce del PdL La prudenza dei leader, però, non pare condivisa dai loro portabandiera. Intanto ieri la maggioranza è riuscita a farsi affossare dall'opposizione il decreto salva-liste, quello approvato dal governo alla vigilia delle elezioni regionali per sanare l'esclusione della lista PdL nel Lazio e della lista Formigoni in Lombardia. Una sconfitta rimediabile con un nuovo provvedimento, ma che lascia il segno, ed è figlia delle assenze di pochi leghisti e molti deputati del PdL, salomonicamente divisi tra ultrà berlusconiani (come il coordinatore Denis Verdini, il capogruppo Fabrizio Cicchitto, ammalato, e l'avvocato del premier Niccolò Ghedini) e incursori finiani (Fabio Granata, Flavia Perina, Donato Lamorte). Il concorso di colpa non basta a impedire le accuse reciproche. Tra le due anime del PdL, infatti, stanno allegramente volando gli schiaffi. Senza indagare su chi ha iniziato per primo e limitandosi a ieri, spicca l'uscita del finiano Italo Bocchino, vicecapogruppo del partito a Montecitorio: «Se Berlusconi dovesse andare al Quirinale», ha detto, «allora si porrebbe il problema di chi possa rappresentare il centrodestra a Palazzo Chigi. Io suggerisco le primarie come possibile metodologia di scelta». Due piccioni con una fava: Bocchino è riuscito sia a riportare la discussione sulla successione a Berlusconi (esercizio molto poco gradito al Cavaliere), sia a riesumare l'idea delle primarie nel momento stesso in cui il Partito democratico sta pensando di seppellirle («premiano il candidato che poi si rivela perdente», ha sentenziato ieri l'ex sindaco diessino di Mantova, Gianfranco Burchiellaro). Il retropensiero dei berlusconiani è che gli ex di An vogliono le primarie perché, essendo più irreggimentati degli ex forzisti, il loro peso politico ne guadagnerebbe. Specie se Berlusconi, trasferito al Quirinale, non facesse più parte della contesa Detta come va detta, le primarie sono ritenute una solenne cavolata da Berlusconi e i suoi. Così il deputato azzurro Giorgio Stracquadanio, che guida il sito Il Predellino, dal quale ogni giorno parte un siluro destinato a Fini, non ci mette molto a rispondere: «Propongo al Pd uno scambio tra Bocchino e Burchiellaro. Sulle primarie l'ex sindaco di Mantova è molto più saggio di chi, oltretutto, fa fantapolitica ipotizzando future candidature per il Quirinale. Le primarie sono distorsive». Consiglio finale: «Sarebbe meglio che Bocchino si occupasse dei voti in Parlamento del Popolo della Libertà». Il retropensiero dei berlusconiani è che gli ex di An vogliono le primarie perché, essendo più irreggimentati degli ex forzisti, il loro peso politico ne guadagnerebbe. Specie se Berlusconi, trasferito al Quirinale, non facesse più parte della contesa. Congelata Generazione Italia Mentre la fondazione Fare Futuro, presieduta dall'ex leader di An, rivendica che il “finismo” è diventato sinonimo di «una “nuova politica”, dei diritti, dei doveri e del buon senso», insomma l'esatto opposto di quella che ritengono essere la destra berlusconiana, sulla pista di lancio c'è sempre Generazione Italia. È il “laboratorio” di idee che Fini voleva usare come embrione di un partito conservatore laico e “moderno” come piace a lui, e cioè ben diverso dal PdL attuale. Generazione Italia in teoria è già attiva, ma sinora non si è fatta notare granché. «Al momento», spiega uno degli intellettuali vicini al presidente della Camera, «è priva di un vero comitato scientifico, di una qualunque strutturazione culturale, di un network territoriale. Cioè di quelli che avrebbero dovuto essere i suoi tratti distintivi. La verità», prosegue, «è che Fini non l'ha ancora presa in mano, per farlo aspetta di vedere come si mettono le cose con Berlusconi». In altre parole, non tutte le armi vengono utilizzate: alcune restano nel fodero, e saranno sguainate solo se la situazione peggiorerà. Questa legislatura darà il verdetto definitivo su Berlusconi e dirà molto sulla reale statura politica di Fini. Uscirne bene, avendo ammodernato l'Italia, conviene a tutti e due. Ulteriore conferma, questa, che tra il presidente del Consiglio e il numero uno di Montecitorio il dialogo è tuttora apertissimo. Anche se i rapporti umani tra Berlusconi e Fini sono sottozero, malgrado il premier oggi si prepari a incontrare Bossi per la seconda volta in dieci giorni e non abbia fissato alcun appuntamento con Fini, nonostante i rispettivi scudieri se le diano in pubblico di santa ragione, ragioni di interesse consigliano a entrambi di fare un altro pezzo di strada insieme, forse l'ultimo. Questa legislatura darà il verdetto definitivo su Berlusconi e dirà molto sulla reale statura politica di Fini. Uscirne bene, avendo ammodernato l'Italia, conviene a tutti e due. L'impresa è ardua e l'interesse reciproco potrebbe non bastare: ma altro, a tenere insieme Berlusconi e Fini, oggi non c'è.