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Matrimoni gay, la Consulta respinge i ricorsi

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Inammissibili e infondate le questioni sollevate dal Tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento

Eleonora Crisafulli
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"Inammissibili e infondati". Così la Corte Costituzionale ha definito i ricorsi sui matrimoni gay presentati dal tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento. Secondo i giudici, le questioni sollevate sull'illegittimità di alcuni articoli del codice civile, che impediscono le nozze tra persone dello stesso sesso, sono inammissibili in relazione alla presunta violazione degli articoli 2 (diritti inviolabili dell'uomo) e 117 primo comma (ordinamento comunitario e obblighi internazionali) della Costituzione. Gli stessi ricorsi sono poi infondati in relazione agli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio). Il caso - Chiamati a dirimere le vicende di tre coppie gay alle quali l'ufficiale giudiziario aveva impedito di procedere alle pubblicazioni di matrimonio, il tribunale di Venezia e la Corte di Appello di Trento si erano rivolti alla Consulta ipotizzando l'ingiustificata compromissione degli articoli 2, 3 , 29  e 117 primo comma. I ricorrenti affermavano la non esistenza di un divieto espresso al matrimonio tra persone dello stesso sesso e lamentavano l'ingiustificata compromissione di un diritto fondamentale, la lesione di una serie di diritti sanciti a livello comunitario e la disparità di trattamento tra omosessuali e transessuali. Durante l'udienza, lo scorso 23 marzo, i legali delle coppie avevano sollecitato la Corte a dare una «risposta coraggiosa» che, anticipando l'intervento del legislatore, consentisse il via libera ai matrimoni omosessuali. Nel dichiarare inammissibili e infondati i ricorsi, la Consulta rimanda la questione al legislatore, stabilendo che non è sua competenza definire le modalità più opportune per regolamentare le relazioni tra persone dello stesso sesso. Le motivazioni della decisione si conosceranno nei prossimi giorni e saranno scritte dal giudice costituzionale Alessandro Criscuolo. La reazione di Arcigay - Immediata la reazione di Arcigay, che prende atto «con rispetto» della decisione e in una nota spiega: «Sappiamo con certezza che l'Europa e la cultura giuridica dell'Occidente sono dalla parte del movimento lgbt e per il riconoscimento della piena eguaglianza di diritti. Le persone omosessuali italiane stanno percorrendo lo stesso sentiero di emancipazione affrontato nel passato da altri gruppi sociali: schiavi, donne, ebrei, neri. Le tappe sono analoghe, il risultato non potrà che essere lo stesso. L'esito negativo di oggi ci spinge a rilanciare la nostra lotta di civiltà, ben consapevoli che il diritto è un'entità viva, in perenne evoluzione, al pari della società. D'altra parte già in passato la Corte costituzionale ha emesso importanti sentenze, salvo poi ribaltarne il contenuto dopo pochi anni. All'inizio degli anni Sessanta la Consulta, interpellata sul tema dell'adulterio, dichiarò legittima la norma del codice penale che puniva col carcere, in caso di infedeltà, le donne e non gli uomini. Solo dopo pochi anni la stessa Corte cambiò completamente opinione e dichiarò incostituzionale il delitto d'adulterio riconoscendo che i costumi erano cambiati. Così è accaduto anche per leggi importantissime come quella del divorzio e dell'aborto». Infine l'associazione ribadisce quanto scritto dalla «Corte Suprema del Sudafrica quando ammise il matrimonio tra persone dello stesso sesso: "L'antichità di un pregiudizio non è un buon motivo per la sua sopravivenzà».

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