Silvio non cascarci
Fini vuole restare nel Pdl e continuare a sparare contro il governo. Intanto, i colonnelli si prendono An: raccolgono 74 parlamentari, più del Presidente della Camera
Non sarà isolato, Gianfranco Fini, nel Popolo della Libertà. Di certo, però, da ieri è ufficialmente in minoranza. Perché adesso contro di lui non c'è soltanto l'ex Forza Italia capitanata dai fedelissimi di Silvio Berlusconi, ma anche, guidata da quelli che un tempo erano i suoi colonnelli, la maggioranza parlamentare dell'ex Alleanza nazionale. Gianni Alemanno, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli, Giorgia Meloni. Sono loro i primi cinque firmatari di un documento che, nello stesso giorno in cui vede la luce quello sottoscritto dagli uomini più vicini al presidente della Camera, definisce il PdL una «scelta giusta e irreversibile», da rafforzare «restando all'interno del partito». Un documento sotto cui campeggiano, insieme a quelle degli ex colonnelli, altre settanta firme di deputati e senatori provenienti da An. Adesioni cui in serata si sono aggiunte quelle dei cinque eurodeputati eletti a Strasburgo. Fedeli al Cavaliere Preceduto dal testo firmato due giorni fa a Milano da diciotto parlamentari ex An eletti nel nord – ovest (regista La Russa), ieri è arrivato, in contemporanea con la riunione dei finiani a Montecitorio, il manifesto degli altri “berluscones”. Obiettivo: sbarrare la strada a Fini in vista della direzione del PdL convocata per domani. Facendo emergere, con il supporto dei numeri, quello che Berlusconi sostiene da tempo. Ovvero che Fini è ormai minoranza anche nell'ex An. Con tutto quello che ne consegue in termini di equilibri interni nel caso si arrivasse alla “conta” minacciata dai finiani. Non solo: grazie alla mossa dei cinque “pezzi da novanta” eletti in quota Alleanza nazionale, ora diventa più difficile, per il presidente della Camera, invocare il repulisti all'interno del 30% degli incarichi spettanti ad An. In otto punti, i settantacinque ufficializzano il distacco dal loro ex presidente. «Il progetto del PdL», scrivono, «contribuisce in maniera decisiva alla costruzione di una democrazia bipolare, nella quale le istanze e i valori del centrodestra hanno raccolto la maggioranza dei consensi degli italiani». A questo, aggiungono, vanno sommate le «nette affermazioni elettorali» del PdL, che «rappresentano un chiaro giudizio positivo sul governo guidato da Silvio Berlusconi». Da qui la decisione di restare fedeli al partito. Certo, concedono, «questo non significa ignorare i problemi politici e organizzativi» del PdL, inclusi quelli sollevati da Fini, ma per questo basta e avanza il «regolare e sempre più frequente incontro degli organi statutari del partito e dei gruppi parlamentari». È lì, rimarcano i settantacinque in indiretta polemica con i finiani, che «le idee e i progetti si devono confrontare». Non certo, è il messaggio sottinteso, con scissioni, gruppi parlamentari autonomi e correnti. Quindi l'invito a superare il sistema delle «quote di provenienza attraverso un nuovo congresso nazionale» da celebrare «in tempi rapidi» e la richiesta al PdL di un'«azione forte e ricca di contenuti» su tutto il territorio. Anche in materia di immigrazione, sulla quale non vanno lanciati «messaggi equivoci» che, come sottolineato da La Russa, giocano solo «a favore della propaganda della Lega». Parole che suonano come una pubblica presa di distanza dalle posizioni di Fini. L'attacco ai ribelli «Il documento firmato non è contro Fini, ma è a favore del PdL, che vogliamo unitario», minimizza Alemanno, che nel pomeriggio, insieme a Matteoli, si è recato a Palazzo Grazioli per incontrare Berlusconi. Proprio l'adesione del sindaco di Roma, insieme a quella di due dei tre dirigenti cui Fini affidò il partito nel 2005 dopo l'azzeramento delle cariche in seguito al caso della “Caffettiera” (Manlio Contento e Marco Martinelli), è quella più dolorosa per il presidente della Camera. Ora l'attenzione si sposta sulla direzione di domani e sui futuri assetti del PdL alla luce della conta nell'ex An. «L'importante è che si rispettino le regole e che decida la maggioranza», avverte Matteoli. «Non è che la condizione di una minoranza organizzata mi lasci tranquillo», aggiunge La Russa pensando ai «meno di cinquanta» schierati con Fini. «Questa vicenda», spiega, «porta comunque a una frammentazione che torna utile alla sinistra e alla Lega». E poi «bisognerà vedere, se minoranza sarà, come si atteggerà», osserva il coordinatore del PdL, che non rinuncia a lanciare una stoccata a Fini: «I partiti possono sempre organizzarsi in correnti, ma mi sembra che il primo a considerarle non positive sia stato proprio lui». Quando le definì «metastasi». di Tommaso Montesano