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Di Pietro si traveste da Diccì

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Improvviso cambio di casacca: Tonino vuole smettere di urlare e chiede riforme. Sta preparando l'alleanza con Fini?

Albina Perri
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di Francesco Specchia-  Non ci posso credere. L'hanno drogato, modificato geneticamente, gli hanno aperto il cranio, insufflato lo spirito padano e inserito il cervello di Amintore Fanfani. Incredibile. Era lì, l'Antonio Di Pietro moderato per le riforme, un filino leghista, che ripudia l'antiberlusconismo da piazza, conscio di voler “spalmare di napalm” ideologico la classe dirigente del Pd per rifondarla dai giovani. Era perfino quasi (quasi) elegante in un borghesissimo blaser fumo di Londra. E - cosa più straordinaria- con i congiuntivi perfetti. Se non l'avessimo visto coi nostri occhi, l'altra sera, ospiti con un'infilata di colleghi nello studio televisivo di Iceberg - il Porta a porta del nord su Telelombardia-,  questo Di Pietro in piena mutazione antropologica sarebbe stato il pallido spettro d'un futuro alternativo. Se non l'avessimo visto coi nostri occhi, l'altra sera, ospiti con un'infilata di colleghi nello studio televisivo di Iceberg - il Porta a porta del nord su Telelombardia-,  questo Di Pietro in piena mutazione antropologica sarebbe stato il pallido spettro d'un futuro alternativo. Roba, per capirci, lontanissima dai grillini, dall'onda viola, dal “Berlusconi fascista”, dai girotondi ferocemente antipolitici. «...Ecchè i girotondi dopo una, due, tre volte fanno cascare a terra, non portano da nessuna parte. In effetti in questo momento storico i miei elettori vogliono una prospettiva di governo, di cambiamento» scandisce Tonino, bello paciarotto, davanti alla telecamera, incastrato in una poltrona da statista -ruolo su cui fa “un pensierino”. Per gridare c'è Grillo  E aggiunge: «D'ora in poi voglio fare opposizione a Berlusconi inteso solo come modo di governare; gli contesterò solo le cose che non sta facendo in materia economica e sociale, tanto sulla giustizia si sa come la penso». Sulla giustizia, si sa. È del resto di questo inedito approccio alla politica, che non eravamo a conoscenza. La notizia è che Di Pietro non urla più. Non urla, dialoga. E non cita neanche una volta- che sia una-  i giudici. E parla soffice e quasi politichese, ci ricorda -miodio- un po' Tabacci: «da questa parte c'è già troppa gente che grida, come Grillo. Ma non porta a nulla. I miei elettori dopo la terza volta che mi seguivano in piazza sono venuti a dirmi: “Vabbè finora t'abbiamo seguito, ma mò che facciamo?”». Già, e mo'? «Mo' bisogna costruire, anche con Berlusconi. Se propone le riforme giuste, se taglia le province, se permette agli imprenditori e ai Comuni virtuosi di sforare il patto di stabilità, se salva sia gli operai che i piccoli e medi imprenditori e le partite Iva tutti strangolati; se fa tutto questo io Berlusconi lo voto, a priscindere dal Pd. Lo faccio per i miei elettori e per quelli che posso convincere, astenuti compresi». Gli astenuti, per inciso, in Italia sono otto milioni: il progetto di papparsene una bella fetta non è affatto incongruo. Tonino stordisce. Silenzio catacombale in studio. Poi il pubblico si agita, è una pignatta in ebollizione, cova il dubbio d'essere a Scherzi a parte. Il collega ciellino Amicone ridacchia, quello del Fatto, Portanova, è paonazzo, il direttore di Affaritaliani Perrino diffida come Napoleone di Talleyrand; all'improvviso un vecchio comunista dietro a noi sbotta: « Ma che minchia sta dicendo, questo...?». In realtà Di Pietro, conscio del suo 7,3% (oltre 1 milione e mezzo di voti contro il 4,4% delle Politiche del 2008, nonostante l'astensionismo), sta articolando l'unica strategia possibile, anche se non l'ammette. Cioè: smarcarsi dal Pd in stato confusionale, spogliarsi degli estremismi e avviarsi verso la leadership di quel che rimane, gli amabili resti del Pd, sventolando lo slogan: «Dobbiamo trovare un candidato di sintesi, dobbiamo agire solo con la politica e non con gli slogan non possiamo mica aspettare che Berlusconi se lo pigli Gesù Cristo...». Se potessi, oggi, non mi ricandiderei al Mugello per una parte politica che sembrava mi avesse comprato. Lo farei da solo... Le domande successive si arrampicano come stambecchi felici sulla probabile prossima rivoluzione del Pd «Il Pd non è quello che vedete, sono 100 partiti incontrollabili ognuno che gestisce il proprio notabilato locale. Già abbiamo sbagliato ad appoggiare in Campania De Luca condannato in primo grado; ma farci parlare, come a Cagliari, solo con gente che si è appena presa un po' d'anni di galera, questo è troppo. Bersani fa quel che può. Ma buona parte di questa classe dirigente se ne deve andare. Il ricambio generazionale deve avvenire con un codice etico: niente condanne e via dopo due legislature». E ancora: « Se potessi, oggi, non mi ricandiderei al Mugello per una parte politica che sembrava mi avesse comprato. Lo farei da solo...». Quasi leghista Nel break pubblicitario gli s'avvicina un diciassettenne militante della Lega con cravatta e pochette verde, pare Flavio Tosi da giovane. Gli dà la mano: « voi assomigliate a noi...». E Tonino sfoggia l'inedito repertorio - Lega: « Davanti alle fabbriche non di rado sventolano le nostre bandiere insieme; i gazebo di Lega e Idv li trovate accanto».  E ancora: «Con Calderoli mi vedo spesso. Non per niente  ho firmato il federalismo fiscale mentre il Pd s'è astenuto e l'Udc era contro. Gli ho dato fiducia, io, a Bossi». La puntata si spegne con sensazioni stranianti. Gli chiediamo: Tonino ma lei chi è davvero? «Credo che mi stia riaffiorando il democristiano che è in me». Appunto...

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