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Il pool di Milano tiene ferma l'inchiesta anti-corruzione

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Quando non si parla del Cav i tempi si allungano: il gip deve decidere da 15 mesi se archiviare o arrestare

Albina Perri
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di Gianluigi Nuzzi- Quando si alza una critica nei confronti della magistratura, i giudici tirano su la coperta del corporativismo, si indignano riducendo tutto a una volontà strumentale, un'azione politica,  mediatica di detrattori che attaccano le toghe per aiutare o salvare Berlusconi. Purtroppo la situazione è assai più seria. I danni che compromettono l'immagine della magistratura provengono dalla magistratura stessa. Le storie riempiono gli annali ma questa ha dell'incredibile. A Milano nel tribunale di Mani pulite dal dicembre del 2008 un'inchiesta per corruzione è ferma perché un giudice non si decide se arrestare o meno una decina di persone (alcuni ne indicano 15-20) una sorta di cricca meneghina di pubblici ufficiali, funzionari comunali, imprenditori e travet che facevano il bello e il cattivo tempo sui locali notturni, la movida, la Milano da bere A Milano, nella capitale morale, nel tribunale di Mani pulite dal dicembre del 2008 un'inchiesta per corruzione è ferma, bloccata perché un giudice non si decide se arrestare o meno una decina di persone (alcuni ne indicano 15-20) una sorta di cricca meneghina di pubblici ufficiali, funzionari comunali, imprenditori e travet che facevano il bello e il cattivo tempo sui locali notturni, la movida, la Milano da bere. Sono ormai 15 mesi che il pubblico ministero Frank Di Maio ha inoltrato questa richiesta di arresti ma il gip non ha mai né respinto né firmato l'ordinanza di custodia cautelare che avrebbe l'effetto di scoperchiare un malaffare indegno della città. L'indagine era partita sulle ceneri delle inchieste su Fabrizio Corona, quello che si considera uno stratega della comunicazione, buttava le mutande da casa e avvertiva i paparazzi quando usciva con la moglie Nina. Di Maio aveva incrociato indizi che lo portavano alla commissione comunale pubblici esercizi, una sorta di comitato di vigilanza sulle attività di discoteche e ristoranti, delegata a concedere le ambite licenze, un grande controllore della regolarità degli esercizi che tengono aperti di notte. Uscite antipanico, misure antincendio, insomma è venuto fuori che per taluni sarebbe funzionato tutto all'italiana con la mazzetta eletta a sistema. In altre parole i locali amici venivano avvisati prima dei controlli, “Salvatò guarda che veniamo a vedere se hai gli estintori in regola”, e Salvatore se li andava magari ad affittare per l'occasione per poi tornare ai suoi affari mica alla sicurezza dei clienti. E se fosse scappato il morto, beh qualcuno avrebbe fatto domande e ci si sarebbe pensato. Dopo, ovviamente. Di Maio ha indagato scoprendo di tutto, storie di droga e di corruzione che si mischiano sotto le luci psicadeliche della notte, tanto appunto da chiedere gli arresti. Un tempo una vicenda così sarebbe stata vagliata subito dal gip, durante Mani pulite i mandati di cattura per i reati di corruzione e concussione venivano firmati in poche ore. Oggi l'aria è cambiata? Oppure i “clienti” non sono così interessanti? Non vogliamo reintrodurre le ghigliottine né siamo nostalgici della stagione delle manette. Ma francamente 15 mesi ci sembrano un po' troppi, nel Tempio delle indagini per corruzione poi rappresentano una enormità. Ci sarà tanto lavoro arretrato in tribunale, questo gip avrà carichi pesanti, dovrà studiare le carte per benino ma il tempo passato è davvero insolito. Intanto, la cricca deve aver annusato l'indagine anche perché un primo troncone è nel frattempo giunto a conclusione facendo alzare le antenne agli altri. La cricca è corsa magari ai ripari, ha reagito mischiando le carte oppure, come spesso capita, se ne frega e basta. L'effetto sorpresa comunque è vaporizzato grazie alla polvere caduta sul fascicolo. Rimane indimenticabile il naufragio dell'inchiesta Gardenia Blu quando il pubblico ministero Marco Maria Maiga emise 138 decreti di perquisizione domiciliare, vennero controllati una trentina di locali tra night, teatri e cinema A questo punto piacerebbe sapere dal presidente del Tribunale Livia Pomodoro, giudice attento alla trasparenza e all'efficienza, i motivi di questa lentezza, motivi che andrebbero sicuramente a togliere la malizia, la cattiveria che questa storia lascia, all'ombra sulla magistratura che staglia, al solo pensiero che se a posto dei funzionari di palazzo Marino, di vigili e imprenditori, ci fossero stati i politici a rischio manette la cosa sarebbe andata diversamente. Del resto alzare il sipario sul mondo della notte a Milano non ha mai portato fortuna.  E forse non è poi il caso. Rimane indimenticabile il naufragio dell'inchiesta Gardenia Blu quando il pubblico ministero Marco Maria Maiga emise 138 decreti di perquisizione domiciliare, vennero controllati una trentina di locali tra night, teatri e cinema. L'indagine finì in un tunnel di sfortune, tra fughe di notizie devastanti, spezzettata tra diversi magistrati che cambiarono di sede. Maiga fece ciò che poté ma poi venne trasferito e l'indagine passò a un collega che poi cambiò ufficio. I faldoni fecero il giro del mondo per poi finire su un binario morto. Oggi i presupposti per fare il bis ci sono tutti, la lentezza della giustizia colpisce ancora e diventa barzelletta, sfottò. Già li immagini i dialoghi notturni di quelli che possono rischiare l'arresto: “Sai, amore, in tribunale devono decidermi se arrestarmi” “Caro è un anno che me lo dici, ormai non ti credo più”, “Che c'entro io?” “Ma io nella giustizia non ho mai creduto, nemmeno loro vogliono prenderti”. [email protected]

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