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"Mi hanno fatto denudare perché ho pubblicato i verbali su Bertolaso"

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La nostra cronista interrogata dai carabinieri dopo la pubblicazione dei documenti sulla deposizione del sottosegretario

Monica Rizzello
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Perquisita e interrogata. La pubblicazione del verbale di Guido Bertolaso, nell'ambito dell'inchiesta sul G8, non è piaciuta alla Procura della Repubblica di Perugia, che ha aperto un fascicolo per violazione del segreto istruttorio. I magistrati volevano che le dichiarazioni rese dal capo della Protezione civile restassero riservate, tanto da avere scelto di non depositare le nove pagine che le contengono. Ma Libero e Il Fatto quotidiano ne sono entrati in possesso e ieri hanno pubblicato l'atto, scatenando la reazione degli inquirenti. È il gioco delle parti: trovata una notizia, i giornalisti la scrivono; dall'altra parte, i carabinieri e i magistrati indagano su un reato. Il procedimento è a carico di ignoti, ma, com'era ovvio che fosse, sono scattate le perquisizioni e gli interrogatori di chi era entrato in possesso di quelle carte. Perciò alle 12.30 ci è stato notificato il decreto di perquisizione. Ero in procura, sperando di incontrare il pm Sergio Sottani o qualche investigatore che collabora con lui, proprio per avere chiarimenti e novità sull'inchiesta che ha portato a galla una nuova tangentopoli. E ci sono riuscita: ho incrociato i carabinieri del Ros, che si sono fermati a parlare. Solo che non era per dare risposte, erano loro che volevano fare domande. Soprattutto una: dove fosse il verbale coperto da segreto istruttorio. Ma la prima regola di un giornalista (prima ancora di dare una notizia) è garantire la propria fonte, perciò ho risposto la verità, che non avevo più quel verbale. Dopo averne scritto, lo avevo distrutto e me ne ero disfatta. Mi hanno spiegato che se non avessi dato loro la carta (sulla quale compiere accertamenti per risalire da dove provenisse) mi avrebbero perquisito. Perciò, mentre uno saliva a prendere il decreto dal pm Sottani, l'altro è rimasto con me nel parcheggio. Nel frattempo ho avvertito il direttore Maurizio Belpietro, che ha immediatamente contattato avvocati di sua fiducia. Soprattutto, in tempi brevissimi, ha fatto in modo che arrivasse un legale di Perugia, per assistermi sul posto e verificare che tutto avvenisse in modo irreprensibile. Come infatti è stato.   Con il decreto in mano, gli uomini del Ros mi hanno accompagnata nell'albergo dove alloggio. Per prima cosa gli investigatori hanno esaminato i faldoni che avevo in una busta. Hanno cercato in mezzo alla pila di giornali e altre carte, documenti su questa e altre inchieste, che comunque non hanno toccato. Agendo quindi con grande correttezza. Stavano cercando il verbale, perciò le altre cose non erano di loro interesse. Non trovando l'atto giudiziario, la ricerca si è spostata al bagaglio personale. Due carabinieri hanno tolto le mie cose dalla valigia, le hanno esaminate una ad una, e le hanno rimesse al loro posto, piegando i vestiti nel modo più simile a come li avevano trovati. Gentilmente, e in un clima di grande serenità, l'attenzione si è spostata al computer e agli apparati elettronici (palmare, cellulari, chiavette usb). Anche lì nulla da fare. A quel punto è scattata la perquisizione personale, della quale si è occupata una donna. Il carabiniere mi ha accompagnata in bagno e mi ha chiesto di togliermi i vestiti. Man mano che sfilavo gli indumenti, lei li controllava. Rimasta in biancheria intima, il carabiniere donna mi ha chiesto (scusandosi per il disagio) di togliere anche quella, per essere certa che non custodissi ben celata un'altra chiavetta usb. Questa chiavetta non c'era e il militare ha aspettato che mi rivestissi, riaccompagnandomi dove i colleghi stavano finendo di controllare la borsa del portatile. Dopo la perquisizione della mia macchina, anch'essa andata a vuoto, sono stata portata in procura. Il collega Massari è entrato nella stanza di Sottani prima di me. Si è appellato al segreto professionale ed è uscito. Poi è stato il mio turno. Il magistrato ha anticipato la mia risposta, immaginando che mi sarei appellata anch'io. Ha quindi puntato su chiarimenti di contorno (se avessi avuto il verbale in formato digitale o cartaceo, se sul documento vi fossero le firme e chiedendomi conto di alcuni fax ricevuti e inviati dall'albergo). Ma non ha insistito, di fronte al mio rifiuto a fornire qualunque elemento che potesse restringere il campo attorno alla mia fonte, dopo quasi un'ora, ha chiuso l'incontro. Nel frattempo, mentre ero con lui e il colonnello del Ros, un tecnico della procura ha copiato la memoria del mio computer. L'accesso gliel'ho dato io stessa, digitando la password, tranquilla del fatto che nel pc non troveranno altro che le foto delle mie vacanze e i documenti word degli articoli che mando al giornale quando lavoro come inviata e non mi trovo nella redazione di Roma. Un'avventura finita bene, per me, che come primario interesse ho quello di tutelare le mie fonti. Forse meno bene per pm e carabinieri, che avranno difficoltà a scoprire da dove sia uscito il verbale. Ma è il gioco delle parti: ognuno ha fatto il proprio mestiere. Ed è stato fatto nel rispetto reciproco. (Roberta Catania)

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