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Il pm mi ha fatto denudare, ma a umiliarmi è stato il Tg3

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La cronista di Libero intervistata sulla perquisizione: hanno stravolto le mie parole

Monica Rizzello
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Questa volta ho veramente qualcosa da denunciare. Dopo i fatti che – mio malgrado – mi hanno fatto essere per una volta dall'altra parte dell'informazione, intervistata anziché intervistatrice, ho avuto modo di controllare in prima persona come lavorano i giornalisti del Tg3. Nei titoli d'apertura, e nel servizio all'interno dell'edizione delle 19 di sabato scorso, è stato detto che  «la giornalista di Libero Roberta Catania denuncia di essere stata fatta spogliare dai carabinieri del Ros». Ebbene, niente di più falso: non ho denunciato nulla e alla collega che registrava il mio racconto ho più volte sottolineato la correttezza dei militari e della procura di Perugia. Risultato: hanno tagliato la mia intervista, censurando ciò che a loro non faceva comodo mandare in onda. Oltre a me, quel pomeriggio è stato sentito dalla stessa testata della Rai anche il collega del “Fatto quotidiano”, Antonio Massari, che era stato perquisito e interrogato per le mie stesse ragioni: aver pubblicato sul suo giornale il verbale dell'interrogazione di Guido Bertolaso. Tutte le sue parole sono finite nel cestino della sala montaggio del Tg3: il sospetto che ciò sia avvenuto perché niente di ciò che ha detto Antonio serviva ai loro scopi è forte. Anche lui ha parlato di un'operazione avvenuta nel massimo rispetto delle nostre persone e, al contrario di me, nel suo caso non è stata ritenuta necessaria una perquisizione personale. Perciò non c'era niente da mettere al fuoco, neanche con il “taglia e cuci” che hanno invece riservato all'inviata di Libero. La vera storia, per chi fosse interessato a conoscerla, è questa. Sabato mattina, su “Libero” e “Il Fatto”, sono stati pubblicati ampi stralci di un verbale che non è depositato agli atti. Il pm di Perugia Sergio Sottani ha quindi deciso di vederci chiaro. Su sua delega i carabinieri del Ros, alle ore 12.30, hanno notificato a me e Massari un decreto di perquisizione. Gli investigatori hanno cercato copia di quelle nove pagine, ma non le hanno trovate. Nel mio caso hanno ritenuto necessaria una perquisizione personale, della quale – ovviamente - si è occupata una donna.  Non è stato piacevole spogliarsi di fronte a una sconosciuta, ma neanche una tragedia. Perciò, per me, era finita lì. Concluse le operazioni, i carabinieri ci hanno portati in procura, dove il pm Sottani ha sentito prima il collega del “Fatto” e poi me. Nel mio caso è stata anche copiata la memoria del computer: dentro non c'è niente, ma hanno ritenuto di farlo. Amen. Mentre il sostituto procuratore di Perugia mi rivolgeva le ultime domande, mi ha squillato il cellulare. Poiché non conoscevo il numero, ed ero curiosa di sapere chi fosse, e considerato il clima di serenità che ha scandito tutte le fasi dell'operazione, Sottani mi ha permesso di rispondere. Era un collega dell'agenzia Ansa. Mi sono scusata, gli ho detto che in quel momento non potevo parlare e che lo avrei richiamato più tardi. Alle 16.30 era tutto finito. Massari è andato in albergo e io sono passata allo studio del mio avvocato per spedire alcuni fax. Camminando, mi sono ricordata della telefonata del collega dell'Ansa e l'ho richiamato. Voleva sapere della perquisizione e gli ho raccontato che i carabinieri avevano controllato il mio bagaglio, la mia auto e anche me, facendomi spogliare in un bagno dell'albergo. Così, senza aggiungere nulla di più. E infatti il lancio di agenzia riportava le cose fedelmente, dando maggiore enfasi alla perquisizione personale (che per un giornalista è un fatto insolito). A quel punto, si è scatenato l'inferno. Alla redazione romana di Libero, di cui faccio parte, sono arrivate decine di telefonate di colleghi che mi cercavano. Telegiornali, radio e carta stampata. Nel frattempo ero tornata in albergo e avevo raggiunto Massari. Eravamo insieme quando sono stata contattata dai giornalisti del Tg3. Ho risposto alle loro domande, nonostante avessi da scrivere i miei articoli e fossi in ritardo sulla tabella di marcia. So che cosa significa quando il direttore ti chiede di ottenere una dichiarazione da qualcuno, perciò li ho “aiutati”. Ho dovuto declinare l'invito a recarmi nella loro redazione umbra per realizzare un'intervista video, perché rischiavo davvero di non terminare in tempo il mio lavoro per Libero. Al telefono, ho raccontato quello che era successo, spiegando bene che ognuno aveva fatto il proprio mestiere: io pubblicando una notizia, l'Arma facendo la perquisizione e la Procura disponendo gli accertamenti. La collega dall'altra parte del telefono insisteva molto sui dettagli della perquisizione personale. Le ho spiegato di essere stata fatta spogliare, sottolineando  che era stata una donna carabiniere ad occuparsi di quell'aspetto dell'operazione e che lo aveva fatto con garbo. Poco dopo, ha squillato il cellulare di Massari. Erano sempre quelli del Tg3, volevano sapere che cosa fosse accaduto e l'hanno intervistato. Alle 19, insieme, io e Antonio abbiamo visto il Tg3. Siamo rimasti senza parole. “Roberta Catania di Libero denuncia di esser stata fatta spogliare”: come se io li avessi cercati per lamentarmi. Le mie parole erano state stravolte, grazie a un “taglia e cuci” fatto ad arte. Quelle di Massari erano finite nel nulla.  A quel punto mi hanno cercato dalla Federazione nazionale stampa italiana, il sindacato dei giornalisti, per chiedermi di denunciare formalmente l'accaduto. Ho spiegato loro che non avevo nulla da denunciare. La procura e i carabinieri potevano sequestrarmi gli strumenti di lavoro (telefono, computer, carte), eppure non lo avevano fatto. Inoltre si sono comportanti per tutto il tempo con grande gentilezza e professionalità. A quel punto, sentendoci strumentalizzati, io e Massari abbiamo scritto una nota all'Ansa in cui chiarivamo una volta per tutte che la perquisizione era avvenuta nel massimo rispetto e che non avevamo nulla da eccepire sul metodo usato dagli inquirenti, i quali stavano solo facendo il proprio lavoro. Esattamente come noi. Gli altri colleghi lo hanno capito e infatti i servizi degli altri telegiornali andati in onda nelle ore seguenti sono stati precisi nel riferire ogni dettaglio. Il Tg3, no: nell'edizione successiva ha letto solo i lanci dell'Ansa che voleva leggere e ha preferito non mandare in onda quelle parole che io e Massari avevamo ritenuto necessarie proprio per correggere le falsità contenute nella loro edizione precedente. Adesso capisco perché spesso noi giornalisti abbiamo difficoltà ad intervistare qualcuno. Magari la persona che stiamo cercando di far parlare ha alle spalle una brutta esperienza come quella che ho avuto io. Non con la Procura e il Ros di Perugia, ma con il Tg3. (Roberta Catania)

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