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Dimora et labora

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Appunto di Filippo Facci

Tatiana Necchi
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Un rom che abbia la cittadinanza italiana non si può accompagnarlo alla frontiera: perché è un italiano, non un rom. Neppure se compie un reato si può espellerlo: e meno male, perché saremmo al nazismo. Quella che vorrebbe fare il ministro Maroni, in futuro, è un'altra cosa: espellere dall'Italia i rom e i sinti comunitari - ma privi della cittadinanza italiana - che non rispondano ai requisiti che la stessa Comunità europea prevede affinché un paese li ospiti: cioè reddito minimo, non essere a carico dello Stato e avere una dimora riconoscibile. Tra altre cose. Sono giusti questi requisiti? In teoria no, perché un tizio, in un mondo perfetto, dovrebbe poter vivere come vuole, dove vuole e campando d'aria, se crede. Di recente è stato scoperto che il mondo non è perfetto, i requisiti perciò sono in vigore. Peccato che contrastino con un'altra regola sempre della Ue: i cittadini comunitari, dice, hanno libertà di movimento e di insediamento. Perciò si litiga. I vescovi della Cei, però, è meglio che stiano buoni: ieri, a Radio Vaticana, hanno detto che «il governo non può decidere autonomamente quando c'è una politica europea che stabilisce dei diritti». Vada a rivedersi, la Cei, la politica europea anche in tema di biotestamento, patti di convivenza tra gay e altre cosucce che le sono care. Che facciamo, applichiamo?

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