Congo, l'Onu denuncia gli stupri di massa

Eleonora Crisafulli

Tra il 30 luglio e il 2 agosto scorsi, almeno 303 civili sono stati stuprati negli attacchi che gruppi armati hanno realizzato in 13 villaggi della regione Nord-Kivu, nell'est della Repubblica Democratica del Congo. A confermarlo è l'Onu che ha reso noto oggi il rapporto dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani. I ribelli - Meno di due mesi fa un medico e un operatore umanitario avevano denunciato le violenze "spaventose" e "inconcepibili" commesse da 200 tra ribelli hutu ruandesi delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr), membri delle milizie mai-mai e seguaci del colonnello Emmanuel Nsengiyumva. Le violenze - Tra le vittime "235 donne, 52 bimbe, 13 uomini e tre bambini", ma "il numero potrebbe essere maggiore", avverte l’Alto Commissario per i Diritti Umani. In un comunicato Navi Pillay ha aggiunto che "l'entità e la violenza di questi stupri di massa superano l'immaginabile". Non solo: negli attacchi "sono state bruciate 932 abitazione, saccheggiati 42 negozi e 116 persone sono state portate via per essere ridotte in schiavitù". Il fallimento dei caschi blu - Nella nota (come nel rapporto) si sottolinea l’incapacità dell’esercito congolese e dei caschi blu dell’Onu di impedire tali violenze: "Il fallimento nel prevenire o nel mettere fine agli attacchi è stato aggravato da gravi errori da parte della missione Onu che non è stata addestrata a proteggere i civili". Il 17 settembre, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha ingiunto a Kinshasa di "fare in modo che i responsabili di questi terribili crimini" siano portati davanti alla giustizia, suscitando l’irritazione del governo congolese, che ha garantito di non aver bisogno di tali "moniti" per "fare il suo dovere".