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Il Papa non c'entra coi pasticci dello Ior

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Sono il colpo di coda dei nemici di Ratzinger - di Gianluigi Nuzzi

Eleonora Crisafulli
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Nessuno sembra accorgersene ma l'inchiesta della procura di Roma nella sua parte più incisiva e inquietante non colpisce Joseph Ratzinger, il cardinale Tarcisio Bertone e, a cascata, Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior, la banca vaticana. Pur non colpendoli nelle responsabilità li affatica sul piano mediatico. Sui giornali lo Ior sembra diventata la banca di coppole e riciclatori. È l'esatto contrario delle intenzioni del Papa. È la rivincita del vecchio mondo di Wojtyla che si riscatta intralciando il cammino di oggi. Le operazioni sospette cadono tutte nel 2009 quando alla banca è ancora saldo Angelo Caloia, il presidente scelto da Giovanni Paolo II per un'opera di pulizia dopo i disastri di Marcinkus.  Basta scorrere il calendario: l'arcivescovo nato nel quartiere di Al Capone lascia nel 1989, Caloia scende in campo. Non si accorge dell'enorme potere del prelato monsignor De Bonis che nel 1993 porta i faccendieri a riciclare la maxi-tangente Enimont. Caloia è l'ultimo fedelissimo di Wojtyla a rimanere in sella con Benedetto XVI. Poi la riforma del papa tedesco, il mio “Vaticano SpA”, lo portano a lasciare l'incarico. Eravamo nell'autunno dello scorso anno. A novembre arriva Gotti Tedeschi. Entra in punta dei piedi, sostenuto da Giulio Tremonti e da Bertone. Il banchiere amico dell'Opus dei, già Santander Italia, il fratello ascoltato di Gianmario Roveraro, cerca di orientarsi. Lo Ior è una banca speciale, offshore, con un'incredibile dorsale di privilegi che segna ogni sua attività ma su una cosa, una sola, assomiglia a tutte le altre. Il presidente ha scarsi poteri rispetto al direttore generale. E l'uomo chiave è Paolo Cipriani, portato in grande considerazione, nel passato almeno, da Cesare Geronzi. Gotti Tedeschi capisce subito la musica. Bisogna evitare i trucchi e le alchimie del passato. Introduce dei controlli interni. Se un prete percepisce 2.000 euro di pensione non può movimentare troppi denari. Gli blocchiamo il conto. Anzi, 130 depositi finiscono sotto la mannaia del rischio chiusura. La prima vittoria è modesta, la seconda però più rilevante. Riesce a evitare che in banca metta voce ancora il prelato. Wojtyla aveva promosso De Bonis che polverizzò le belle parole del papa combinandone di ogni tipo. Gotti Tedeschi riesce a far allontanare monsignor Pioppo l'ex delfino del cardinale Angelo Sodano che viene spedito in una sperduta nunziatura. Vuole una gestione totalmente laica. Nessuna intrusione. Ma le stratificazioni che producono palude finanziaria e trappole sono in agguato. Non si trasforma un'industria bellica in una di gelati e pasticcini in una notte. A Gotti Tedeschi sfuggono le operazioni che si consumano anche nei primi mesi di insediamento oggi oggetto di verifica giudiziaria. È un film già visto: nei primi mesi di Caloia nei caveau passano i miliardi della tangente Enimont e il bazoliano non si avvede di niente. A Gotti Tedeschi, Bertone chiede fermezza ma anche un ingresso morbido per ottenere i successi più rilevanti. Il risultato è sotto gli occhi di tutto: soldi sporchi o di cattivo odore passano da San Marino allo Ior come ai gloriosi tempi della ditta Calvi & C. E lui che è andato in giro in mezza Europa dalle banche centrali per stringere l'accordo del nuovo corso, si sente nel sacco, preso in giro. Una pessima figura, un danno di immagine rilevante. «Sono depresso», dice ai giornali offrendo ai suoi nemici un'altra occasione per ottenere le dimissioni. Non siamo certo qui a difendere o accusare tizio o caio, tantomeno a trovare giustificazioni per il nuovo presidente dello Ior. È il Vaticano, mica l'oratorio Mariuccia, verrebbe da dire. Se non fosse che queste nuove accuse suonano davvero come una beffa rispetto all'opera di Ratzinger. E non si può tacere la micidiale sincronia: il Concistoro più anti-Curia della storia, la nomina dei cardinali meno arrampicatori, la bocciatura della politica politicante, la promozione degli studiosi di quelli meno legati al potere del denaro e degli affari, ecco nel giorno in cui diminuiscono le diocesi italiane che esprimono un cardinale, come avevamo anticipato proprio su Libero mesi fa, arriva quest'accusa disarmante di riciclaggio e di prelati utilizzati come prestanomi. È davvero difficile, quindi, non leggere in quanto accade il colpo di coda, la reazione aggressiva di un coagulo di potere che resiste, non arretra, non vuol far perdere quella fabbrica di privilegi che ancora oggi è lo Ior. Niente di nuovo, per carità, ma l'ipoteca sul futuro diventa pesante. L'Unione europea attende uno strappo significativo per far partire la convenzione monetaria dal 1 gennaio e a cascata tutti i dettami anti-riciclaggio. Sarà durissima. Eppure agli occhi della comunità, sociale, politica e finanziaria, non ci sono alternative. Dopo Marcinkus, dopo Vaticano Spa & de Bonis, dopo i disastri questa è l'ultima possibilità per recuperare la credibilità delle proprie finanze. L'8 per mille ha avuto un tonfo da 100 milioni.

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