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Due riforme

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di Filippo Facci

Andrea Tempestini
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Polemiche, piazzate, scioperi, scontri, rivolte: buon segno. Non è vero che le manifestazioni e le proteste siano una cosa brutta, non è vero che in questo modo vada a farsi benedire ogni concertazione tra un governo e una corporazione, tra un governo e una parte sociale: o meglio, spesso è proprio una fallita concertazione a far sperare che le cose stiano cambiando davvero, da noi. La verità è che per cambiarle davvero, le cose, ogni riforma deve equivalere come minimo a un terremoto, essere recepita come una rivoluzione. Nessun potere si riforma dall'interno, nessuna corporazione, se non spronata a cannonate, è mai scesa spontaneamente a patti con chi è delegato a cambiare le cose. Figurarsi docenti e insegnanti e sindacati annessi (non cito gli studenti perché non contano e non capiscono storicamente nulla) e figurarsi un potere come quello dei magistrati, sempre rinsaldati e serrati nei momenti che contano. La differenza però è questa: studenti e insegnanti eccitano gli animi ma non spaventano nessuno, i magistrati sì. La riforma della scuola procede nonostante tutto, quella della Giustizia viene eternamente rinviata - a dopo la fiducia, in quest'ultimo caso - perché la corporazione togata è potente e trasversalmente rappresentata anche in Parlamento.  E in questi giorni la magistratura non fa polemiche, piazzate, scioperi, scontri, rivolte: segno cattivo.

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