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Negli Usa il 70% degli scambi azionari li fanno un computer e un algoritmo

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Trading ad alta frequenza: una (costosissima) equazione sostituisce l'essere umano. Il mercato è ancora reale?

Andrea Tempestini
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Chi frequentava la Borsa prima del 1994 racconta di un enclave brulicante e dinamico. Gli esclusivi bar ai lati di Piazza Affari, in pieno centro a Milano, erano sempre affollati da businessmen. Oggi quella stessa piazza è vuota, i bar sono spariti e al centro svetta malinconico il dito medio di Maurizio Cattelan. Non è la fotografia di un campo di battaglia. Semplicemente, da sedici anni, il mercato si è trasferito su piattaforme elettroniche, e la mecca dei trader italiani si è svuotata. I precursori della transizione tecnologica furono quegli Stati Uniti in cui - ci racconta Oliver Stone nel celebre Wall Street del 1987 - la dematerializzazione del mercato azionario già impazzava più di vent'anni fa. Da qualche tempo, però, la frontiera dell'elettronica applicata alle transizioni finanziarie si è spostata più in là. L'high frequency trading (Hft, trading ad alta frequenza) è la più significativa conquista. Con l'Hft il ruolo dell'essere umano viene ridotto alla compilazioni di alcuni parametri e al controllo delle operazioni effettuate dai computer, in grado di gestire vendite ed acquisti in tempi infinitesimali. I calcolatori, grazie ad appositi algoritmi, riescono a metabolizzare le informazioni dei listini, completare analisi di rischio e determinare misure e tempi dei movimenti azionari nell'arco di venti-trenta microsecondi. L'ipertrofico sviluppo di questo metodo di contrattazione viene svelato da cifre impressionanti. Negli Stati Uniti, rivela uno studio della società di consulenza Tabb Group, il 70% degli scambi viene effettuato in automatico (in Hft). Ancor più significativo è l'abbattimento della durata media di un investimento - il tempo che intercorre tra l'acquisto e la cessione di un titolo - sceso a 11 secondi.  Il fenomeno interessa anche il Vecchio Continente, dove il 40% degli scambi viene effettuato in alta frequenza. La media a livello mondiale, conclude lo studio, si attesta invece al 55 per cento. A far riflettere è come gli algoritmi generino incassi da milioni di dollari. Il segreto sta nella loro capacità di sfruttare la cosiddetta latenza di mercato. Le macchinette che operano in Hft sfruttano i trenta millesimi di secondo che separano l'ordine azionario di un altro soggetto dall'effettivo acquisto dei titoli. In quel battito di ciglia i computer acquistano i lotti disponibili delle azioni ordinate per poi rimetterle in vendita. Come conseguenza sale il tick dei titoli, ovvero lo scostamento minimo tollerato rispetto al prezzo della proposta di acquisto dell'altro soggetto, che quando completerà l'acquisizione lo farà pagando la minima differenza. Uno o due centesimi di dollaro che, moltiplicati per il numero di operazioni in Hft, si traducono in ricavi giganteschi. Il metodo è appannaggio di una sola ventina di gruppi (Goldman Sachs in testa) a livello mondiale. Perché oltre alla tecnologia, per operare secondo questo paradigma, servono i capitali a disposizioni dei soli colossi della finanza globale. Una seconda considerazione legata all'Hft riguarda la possibilità che un'omissione al controllo delle operazioni, o l'inserimento di un dato errato, generi disastrosi effetti a catena. Un esempio lampante risale allo scorso 6 maggio, la giornata del cosiddetto “flash-crash” (crollo lampo). Passato alla storia come il crac più veloce di Wall Street, nel giro di pochi minuti la Borsa Usa perse circa il 9% del suo valore complessivo. Erano i giorni più drammatici della crisi greca, ma il crac non aveva nulla a che fare con Atene. Semplicemente, ha recentemente accertato la Sec (la Consob a stelle e strisce), un ordine di vendita da 4,1 miliardi di dollari, partito per errore, innescò una frenetica reazione dei sistemi computerizzati. Gli algoritmi - “intercettata” l'operazione - risposero a loro volta vendendo poiché “spaventati” da un crollo del mercato. Per fare soltanto un esempio pescato dal mazzo, i titoli del colosso della consulenza Accenture persero in una manciata di secondi quasi il 100% del loro valore, arrivando a quotare la miseria di un centesimo. Anche se gli effetti del flash-crash furono rapidamente riassorbiti, l'esempio fotografa con precisione i rischi connessi al trading ad alta frequenza. Il fatto che più della metà degli scambi sul mercato globale sia gestita da algoritmi, per dirla come il New York Times, determina “il tradimento dei fondamentali economici”. Se un computer lancia un'enorme quantità di ordini (o scommesse?) la cui prospettiva temporale è pari a 11 secondi, il mercato può ancora considerarsi reale? Il ruolo del principio della domanda e dell'offerta sembra relegato in secondo piano, e i numeri di una società (debiti, capitalizzazione, profitti) non sembrano più costituire il ventaglio per valutare la bontà di un investimento. Ma proprio perché qualcosa sembra che si possa muovere - ha riportato pochi giorni fa l'agenzia Bloomberg - fondi e banche che sfruttano le macchinette hanno cominciato la loro opera di lobbying sul Congresso Usa. I manager dei 21 maggiori fondi ad alta frequenza, negli ultimi quattro anni (quelli che hanno portato alla “consacrazione” del metodo) hanno quintuplicato le elargizioni sia al partito democratico sia a quello repubblicano, passate da 100 milioni di dollari a 490 milioni per le recenti elezioni di mid-term. Bazzecole, rispetto agli utili complessivi che derivano ogni mese dal trading ad alta frequenza, pari a circa 1 miliardo di dollari. E poi finanziare la politica serve sempre. Anche quando a farlo sono i computer. di Andrea Tempestini

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