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Così il mite Bondi divenne capro espiatorio

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Ministro della Cultura verso dimissioni: sudditanza alla sinistra e poco determinato / BORGONOVO

Giulio Bucchi
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Siamo quasi sollevati per il ministro della Cultura Sandro Bondi nell'apprendere che nei primi giorni dell'anno in arrivo probabilmente lascerà l'incarico. Pare che il motivo dell'addio sia la mancata integrazione del Fondo unico per lo spettacolo, che rimane a 258 milioni di euro invece di 398 oltre al tentativo di prevenire la mozione di sfiducia nei suoi confronti.  Terminerebbe per lui una stagione vissuta da flagellante, soffrendo per le frustate roventi che gli ha riservato la stampa, masticando amaro per l'astio che l'intellighenzia di sinistra gli ha riservato.  Un disagio manifestato in più occasioni, disertando importanti manifestazioni come la prima della Scala, il Festival di Cannes (a ragione: proiettavano l'orrendo 'Draquila' della Guzzanti), la Mostra del Cinema e la Biennale d'Architettura di Venezia; rilasciando interviste al Corriere della Sera in cui emergeva  la sua delusione d'incompreso; inviando letterine al Foglio per chiedere agli "ex compagni" del Pd (fu sindaco comunista, in gioventù, nella natale Fivizzano)  di non sfiduciarlo. Il ministro  che verga dolci poesie per gli amici cari se ne potrebbe andare in punta di piedi e c'immaginiamo di che cosa sia gonfio il suo cuore. PESANTE FARDELLO - Sul viale del tramonto si trascina un fardello di responsabilità, non però superiori ai meriti. Gli accollano la colpa dei crolli  di Pompei e l'infamia di un sito che giace da decenni nel degrado più totale, quando  sotto la sua gestione l'area è stata finalmente commissariata e s'avviava verso un utilizzo  razionale delle risorse. Non è bastato che ad assolverlo ci sia messo il celebre archeologo Andrea Carandini, uno di sinistra. Il Fatto Quotidiano ha sguinzagliato il segugio Malcom Pagani a mordergli le caviglie, sfornando una serie di articoli in cui lo si accusava di aver fatto assumere Fabrizio Indaco, figlio della sua compagna Manuela Repetti, in una Fondazione legata al MiBac. Poi c'è la storia di Michelle Bonev, bellezza bulgara per cui sarebbe stato organizzato un premio patacca su misura alla Mostra del Cinema in Laguna, per farla contenta. Bondi ha smentito, ha corretto, ha precisato, ma ne è uscito male. L'ultima coltellata da parte degli avversari politici, di cui non smette di cercare la stima, viene dall'Italia dei Valori, che ha diffuso un filmato in cui lo si vede votare al posto del collega Sacconi: da poeta a pianista. Mica è finita: c'è stata la mobilitazione dei vip dello spettacolo a piangere miseria per i "tagli alla cultura". E la mozione di sfiducia da parte dei soliti IdV e Pd, ma anche da Fli. Un evento che il ministro ha vissuto con interiore struggimento: "Un atto parlamentare spropositato, pretestuoso e dirompente sul piano umano", l'ha definito. MERITI DIMENTICATI - Eppure Sandro il mite è responsabile di una importante riforma degli enti lirici, ha introdotto per primo un briciolo di cultura manageriale nello stantìo culturame italico, scegliendo Mario Resca per risanare i musei. Ha applicato e prorogato di sei mesi le agevolazioni fiscali (tax credit e tax shelter) per il cinema, tentando di ridurre i costi a carico dello Stato. La causa delle dimissioni, dicevamo, potrebbe essere la battaglia per il Fus, sul quale Bondi aveva già puntato i piedi con Tremonti.   In realtà, il ministro è diventato una sorta di capro espiatorio. Paga una certa sudditanza culturale alla sinistra, retaggio d'antiche frequentazioni rosse che gli fanno recensire con ammirazione i libri di Scalfari. Paga un prezzo politico, forse a Casini. Paga una certa assenza di coraggio, che gli ha impedito di comunicare  con decisione le sue vittorie. Paga la sua forma mentis di milite fedele, che si fa da parte in solitudine, come a non infastidire. All'eventuale successore il compito di non far peggio. E non sarà così facile come pensano i più.    

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