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Il Papa ha chiuso i cancelli del paradiso fiscale

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Creato un organo di controllo antiriciclaggio per gli enti finanziari della Santa Sede GIANLUIGI NUZZI

Andrea Tempestini
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Giovedì 30 dicembre la il Papa, Benedetto XVI, ha promulgato la legge 127, che adegua la Chiesa alle norme dell'Unione europea in tema di riciclaggio dei capitali. L'articolo di Gianluigi Nuzzi La finanza vaticana cambia passo. Con “Motu proprio” il Papa istituisce un organo centrale di controllo che verificherà l'applicazione della normativa antiriciclaggio dell'Ue sulle operazioni degli enti finanziari della Santa Sede. L'accordo è fatto. Benedetto XVI interviene in prima persona come garante. Oggi le comunicazioni di rito su una iniziativa dalla portata storica, sicuramente se e solo se questo organismo avrà effettiva possibilità di vigilare e non saranno introdotti canali elusivi come nel passato con Karol Wojtyla. Le premesse ci sono tutte. L'ottimismo è nelle cose anche perché questa operazione è stata lenta, avviata nell'estate del 2009 con il cambio al vertice dello Ior, e condivisa anche dalla Segreteria di Stato. Il beneficio del dubbio rimane perché saper rendere armonica l'attuazione delle disposizioni comunitarie con la sovranità di uno Stato per di più teocratico che è fuori dall'Ue non è cosa semplice. E questo difficile equilibrio potrebbe essere l'occasione per dar fiato a chi vuole mantenere privilegi garantiti dall'offshore Ior di oggi. Sarà nelle mani del cardinale Attilio Nicora, oggi presidente dell'Apsa, il timone di comando del nuovo organismo che andrà a controllare conti e operazioni. L'obiettivo del Vaticano si sviluppa su fronti diversi. Si vuole soprattutto recuperare un'immagine compromessa ma anche entrare nella lista in chiaro dei paesi che rispettano gli standard antiriciclaggio indicati dall'Ocse. Ma nel 2011 l'Unione europea e gli altri organismi che poteri di controllo avranno su queste attività? È immaginabile attendere gli ispettori della banca centrale europea monitorare le attività antiriciclaggio appena introdotte? Mistero. Il primo a intuire le volontà di Benedetto XVI che intende rivoltare le finanze vaticane è stato il cardinale Angelo Bagnasco. MANOVRA COMPLICATA È lui agli inizi dell'agosto del 2009 a capire come Joseph Ratzinger aveva intuito che la stagione dell'anarchia finanziaria di Karol Wojtyla era finita. E che anche gli ultimi fedelissimi di Giovanni Paolo II avrebbero fatto le valigie. E tra questi c'era anche Angelo Caloia, il successore di Paul Casimir Marcinkus allo Ior, l'Istituto opere di religione, la banca del Papa. Per questo il mio saggio Vaticano SpA non è stato messo all'indice dalla Chiesa di Benedetto XVI. Anzi è servito per fare pulizia, contribuendo a una ristrutturazione in modo più incisivo, diretto e visibile di molta pubblicistica anticlericale che sortisce l'unico effetto di creare pregiudizio e leggende. Nei documenti di monsignor Renato Dardozzi padre George deve aver trovato il dolore per scandali che non possono essere tollerati dinnanzi a sfide ben più articolate che impegneranno la Chiesa nei prossimi decenni. Insomma bisogna “ristrutturare enti che fanno più ombra che luce” come affermò proprio Bagnasco ai suoi interlocutori in quel giorno di agosto. Tra questi c'era anche una mia fonte che mi riferì le parole sbalorditive e mai smentite del cardinale. Un mese dopo Caloia venne rimandato a Milano, alla Fabbrica del Duomo. In pensione anzitempo. Caloia non ha intascato una lira, un euro dai maneggi che hanno segnato la vita dello Ior. È evidente a tutti però che l'uomo scelto da Wojtyla non poteva guidare questo cambiamento. Quando gli consegnai la prima copia del libro in un albergo a Roma intuì quello che stava per accadere. Mi chiese se il saggio fosse stato già distribuito. Gli risposi di sì. Tacque mi guardò: «Ma queste cose scritte sono vicende ormai passate», disse. «Ora devo salutarla perché devo andare a difendermi. Non da lei ma da chi utilizzerà questo suo libro per attaccarmi». La fuoriuscita di Caloia era in calendario. Per un curioso vizio del destino come Dardozzi nel 1989 salì a Milano per convincere l'allora numero uno del Mediocredito a risanare uno Ior dopo l'oscura stagione di Marcinkus, così sono state proprio le carte di Dardozzi dell'accademia pontificia delle scienze a mettere fuori gioco Caloia. A nulla sono valse le basse insinuazioni messe in giro per giochi di modesto cabotaggio. Chi vedeva nella pubblicazione dell'archivio di Dardozzi un'ultima difesa di Caloia. Chi un complotto per farlo fuori. La verità è che quei documenti hanno accelerato un cambiamento assolvendo proprio al compito che Dardozzi si era dato quando decise di renderle pubblicare: contribuire alla pulizia. Non ci era riuscito da vivo (e un giorno andrà spiegato in profondità il perché e chi è intervenuto per ostacolare), ha aiutato da morto. PARTITA APERTA Ma la partita non è chiusa. La finanza vaticana non è trasparente e resa immune dagli assalti dei vandali delle scritture, da chi ha fatto scempio della fiducia avuta come accaduto troppo spesso nel ‘900. Si è trovato il vaccino che andrà ripetuto. Una risposta si attende anche dalla procura di Roma:  come impatterà questa riforma sulle indagini per riciclaggio che investono il vertice della banca, visto, tra l'altro che proprio uno dei fautori di questo cambiamento, il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, è indagato per riciclaggio come presidente dello Ior?  L'accusa di riciclaggio mossa alla banca dalla procura di Roma e che trova prime significative conferme nell'attività istruttoria è incompatibile con il cambiamento. E quindi solo risposte esaustive ai magistrati potranno togliere questa ombra insidiosa che rischia di lasciare una macchia nero sulla rivoluzione in corso.

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