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Per i 'migliori' chi vota Silvio è cretino Allora è meglio essere Marmaglia

Il 'partito di Repubblica' ci vuole tutti 'azionisti'. Il problema è che l'alternativa sono i Mauro / BORGONOVO

Giulio Bucchi
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Perdonateci, ma di morire azionisti proprio non ce la sentiamo. Alla noiosa macchina da guerra guidata dal partito di Repubblica, che vuole abbattere Silvio Berlusconi in nome del moralismo, rispondiamo come lo scrivano Bartleby di Herman Melville: «Preferirei di no». (La citazione letteraria serve a farsi capire  dagli amici progressisti, i quali trattano solo con chi fa sfoggio di erudizione). L'azionismo, ritornato d'attualità  dopo un editoriale di Ezio Mauro,  è la patina culturale sotto cui si nasconde un preciso progetto politico, un sistema di potere. Per ogni Roberto Saviano che alla manifestazione di Libertà e Giustizia  auspica un rinnovamento morale del Paese, c'è un Carlo De Benedetti seduto in prima fila a batter le mani. Per ogni articolo di Mauro che cita Piero Gobetti e invoca una rivoluzione liberale, c'è il desiderio  di coagulare il fronte antiberlusconiano. Magari imbarcando  Gianfranco Fini: progetto vagheggiato da Repubblica, accarezzato dalla Rizzoli di Paolo Mieli (che ha pubblicato l'ultimo pamphlet  del presidente della Camera), annusato dall'editore Laterza - che ha apparecchiato nei giorni scorsi una platea di intellettuali  come Maurizio Viroli e Lucio Caracciolo per un convegno con Fini ospite d'onore -    e poi abbandonato per evidente impraticabilità.  Si parte con gli intellettuali nel salotto buono  e si finisce con i leader che contano nelle stanze dei bottoni. Intanto si manda in avanscoperta l'avanguardia “neoazionista”, poi arriveranno gli azionisti. Quelli che operano in borsa, però. Ma il nostro rifiuto non è soltanto politico. È  umano e culturale nei confronti dei claustrali difensori della virtù che amano spiare sotto le lenzuola altrui, nella speranza di sbirciare qualche porcheria. Nei confronti di quanti hanno diviso l'Italia in due: una migliore -  progressista - e una berlusconiana e reietta.   Anzi, fascista, perché il fascismo è lo spettro che gli azionisti amano  evocare per legittimare il loro antifascismo permanente, che ha ostacolato per anni qualunque riflessione seria sul passato. Del resto, la “rivoluzione liberale” è in realtà l'anticamera del socialismo. Permetteteci  un'altra citazione. Lo scrittore Paolo Nori - un uomo “di sinistra”, certo non  berlusconiano - ha raccontato in un libro quel che accadde quando iniziò a collaborare con Libero. Fu preso di mira da insigni esponenti dell'intellighenzia, i quali organizzarono  un dibattito  per decidere se fosse opportuno che lui firmasse per noi. Nel romanzo A Bologna le bici erano come i cani rivendica la sua scelta e  ribattezza con affetto il nostro giornale La Marmaglia. Quello che i veri democratici ritengono impresentabile,  moralmente inferiore .  Bene, se l'azionismo rappresenta il Paese puro,  siamo fieri di essere Marmaglia.       Una Marmaglia che risponde  «No, grazie» a Barbara Spinelli, la quale ieri - sempre su Repubblica - si rivolgeva agli elettori di centrodestra dipingendoli come vittime di un buffone  che usa «il passato di cantante per staccarsi dai domestici e mischiarsi ai potenti». Un operaio non vota a sinistra? Per Madame Barbarà da Parigi è un inetto, non sa che Silvio «seduce i declassati identificandosi con loro». Quanto fastidio verso i declassati, nell'articolo. Quanto sdegno per chi appartiene a un mondo politico diverso, dunque è colpevole di «avere sognato un re-taumaturgo onnipotente», «non un democratico». Non c'è in queste parole alcun interesse verso chi la pensa diversamente, emerge solo il tentativo interessato di rimediare qualche utile idiota in più per  sostenere la causa. La Spinelli chiede una «rivolta della decenza». Allora noi, la Marmaglia, siamo fieri di essere indecenti, di essere considerati ignoranti perché popolari.           Se il giurista Franco Cordero  perverte Leopardi per affermare che gli italiani ai tempi del Cav sono preda della decadenza dei costumi, noi preferiamo la gioia peccaminosa di Boccaccio, con  le sue contraddizioni meravigliosamente italiane e così poco puritane.  Se il professore di Princeton Maurizio Viroli ci accusa  di essere «servi», la Marmaglia serve con baldanza il solo padrone che ha - se stessa - e rigetta con forza quelli che il pulpito azionista vuole imporle. Se la filosofa Roberta De Monticelli scomoda il solito Gobetti per rimarcare la «questione morale», noi  ci affidiamo a Guglielmo Giannini, senza tema di passare per qualunquisti. Umberto Eco veglia  fino a tardi «perché legge Kant»? Noi confessiamo che ieri ci siamo coricati a notte fonda perché non siamo del tutto casti. Gustavo Zagrebelsky dice che gli azionisti vogliono «tutto per tutti». Noi vorremmo che ciascuno scegliesse da sé ciò che desidera. Alla «ruga sulla fronte» di Eugenio Scalfari, figlia dell'indignazione arcigna, preferiamo le rughe agli angoli della bocca per le risate in eccesso, anche quelle che ci vengono guardando Checco Zalone al cinema o in tivù. Se questi,  i neoazionisti,  sono i migliori, noi, la Marmaglia,  ci accontentiamo di essere peggiori. Perché di Migliore in Italia ce n'è già stato uno e ci sembra più che sufficiente. di Francesco Borgonovo

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