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Yara, la seconda tragedia: quella delle indagini

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Inquirenti allo sbando: turisti che scorrazzano sul luogo del delitto, testimoni ripescati e piste abbandonate / FACCI

Andrea Tempestini
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Un tempo si scriveva: la polizia brancola nel buio. Oggi guai a scriverlo, e infatti nessuno l'ha sostanzialmente scritto per tre mesi: ma qualche parolina sulle indagini - domanda - ora almeno possiamo dirla? Oppure il rispetto sacrale per l'abnegazione dei nostri inquirenti deve esimerci dal giudicare demenziale ciò che ci sembra demenziale? Ieri i carabinieri sono tornati a recintare il terreno di Chignolo sul quale è stata trovata Yara, questo per ordine del pubblico ministero Letizia Ruggeri; ora: lasciamo anche perdere tutta la polemica sui controlli effettuati inutilmente almeno due volte (con i cani) senza che nessuno vedesse nulla, non facciamo innervosire ancora di più la Protezione civile di Bergamo, d'accordo, rispettiamo il silenzio stampa: ma qualcuno ci spiega il senso della cosa? Il sequestro è arrivato soltanto ieri, appunto, dopo il passaggio di decine di persone e troupe televisive: davvero l'analisi del terriccio sarà egualmente efficace e permetterà di capire se Yara sia stata lasciata lì subito dopo il delitto, consumato quasi certamente il 26 novembre, cioè subito, cioè tre mesi fa? E se è vero che i volontari che perlustrarono quella radura non sono sotto accusa, e che nei giorni scorsi sono stati ascoltati solo per poter escludere che Yara possa esser stata trasportata lì successivamente alla morte, diteci, in definitiva perché nessuno si è accorto del cadavere per tre mesi? La magistratura ha niente da rimproverarsi? PISTE SUGGESTIVE E VANE Lo chiediamo non per leziosità, ma proprio perché intanto, per tre mesi, rimiravamo l'impegno di chi organizzava battute di cani, fiumi e invasi dragati, elicotteri, georadar, intercettazioni e rilevazioni satellitari, piste estere, consulenze di genetisti, anatomopatologi, tecniche di reazione a catena delle polimerasi, piste suggestive ma che ora paiono rigirare su se stesse, come in tondo. «Stiamo ascoltando persone già sentite in precedenza» hanno fatto sapere gli investigatori di Bergamo. «Le attività di indagine non si fermano», ripetono. Beh, forse dovrebbero, perché per quanto «è un indagine complessa e stiamo lavorando su tante piste», come hanno pure detto ieri, dalla lista degli indagati non è neppure ancora stato cancellato Mohamed Fikri, l'operaio 22enne subito arrestato e subito rilasciato dopo aver addirittura fermato la nave dove viaggiava. C'è stata la pista dei parenti, degli amici, i tabulati telefonici, la pista dei pozzi, hanno preso il dna praticamente di tutti i pregiudicati del bergamasco, ora dicono - notare - che vorrebbero sottrarre il dna di alcuni soggetti a loro insaputa (per esempio: raccogliendo un mozzicone di sigaretta) e però per farlo occorrerebbe che il sospettato venisse indagato: ma «non ci sono indagati», fanno sapere. Chiaro come nebbia. Possiamo capire? LE COLPE DEI CRONISTI Ma certo che la colpa è anche di noi giornalisti: siamo noi che ingigantiamo e pompiamo e dilatiamo ogni singolo caso - ogni singola Yara - e mettiamo dunque una pressione terribile addosso a inquirenti e poliziotti e volontari e tutti quanti, siamo noi che facciamo articoli e servizi anche quando non c'è niente da dire, siamo noi che impieghiamo minuti per dire soltanto «nessuna novità di rilievo» o per rivelare che la famiglia di una ragazzina scomparsa ha ricevuto la visita della zia e della cugina. Siamo anche noi dei soggetti da circo (mediatico-giudiziario, d'accordo), ma non c'è niente di nuovo sotto il sole, in questo. Ci volete più seri? Fateci capire. Dateci una mano.

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