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Da Bocchino a becchino. Quel che conta è attaccare il Cav

'Una storia di destra', l'autobiografia di Italo. Il delfino di Fini vuole fare di Berlusconi una mummia / BORGONOVO

Andrea Tempestini
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La prima mezza smentita alla sua autobiografia Una storia di destra - anticipata da Libero nei giorni scorsi e arrivata ieri in libreria - Italo Bocchino se l'è pigliata dalla moglie. Il libro si apre con la dedica a lei: «A mia moglie, protagonista paziente e forte di questa storia».  Che Gabriella Buontempo sia protagonista, non ci piove. È sulla pazienza che nutriamo qualche dubbio. Infatti la signora, forse stanca delle intemerate del marito, gli ha rifilato una bella stangata a mezzo stampa la settimana scorsa, dichiarando a Vanity Fair che Italo ha avuto una relazione con Mara Carfagna e lei ne era a conoscenza da due anni e mezzo. Forse, a questo punto, Bocchino - che ha denunciato per stalking una quindicina di giornalisti di Libero, rei di aver scritto articoli su di lui - dovrebbe procedere per vie legali   anche contro la sua consorte. Prima di tutti, però, dovrebbe denunciare se stesso, poiché tramite la sua autobiografia è il primo a mettere in piazza fatti pubblici e privati. Tutto pur di stare al centro dell'attenzione. Il rischio è che la luce dei riflettori illumini anche qualche punto oscuro. Per esempio la smania del numero due di Futuro e Libertà di seppellire Berlusconi. Se fino a ieri pensavamo che Bocchino volesse sotterrare Silvio soltanto politicamente - senza successo, per altro - ora abbiamo la conferma che pensa a una vera e propria inumazione. Nel suo libro, prima suggerisce che il maggiore interesse del Cavaliere di questi tempi sia l'approdo alla presidenza della Repubblica, intesa come traguardo di una vita. Come se l'esistenza del premier fosse ormai agli sgoccioli. Poi il Becchino Italo afferma: «Berlusconi oggi appare una persona timorosa, come se avesse paura dell'ultima fase della vita: la vecchiaia. Non sembra preparato né religiosamente né laicamente al congedo dall'esistenza. Questo lo condiziona molto e lo spinge per reazione a un giovanilismo ostentato. E così nelle prime file dei convegni ci devono essere solo giovani, solo belle donne, il pubblico deve applaudire e cantare Meno male che Silvio c'è. Questo continuo show è una vitalità effimera con cui tenta di allontanare il pensiero della fine». Insomma, secondo il finiano non si capisce perché  Berlusconi non si decida una volta per tutte a farsi mummificare e rinchiudere in un sarcofago, magari a forma di Biscione. Nell'attesa della veglia funebre, Bocchino si diverte a parlare di se stesso, dipingendosi sempre come inteprete di primo piano. Peccato che da  Una storia di destra Italo ne esca come uno col numero due scritto nel destino. Tuttofare di Pinuccio Tatarella, sottoposto di Fini: ha portato più borse lui che le modelle alle sfilate di  Gucci. Comunque sia, Italo si colloca in ruoli centrali in molte vicende. Per esempio, si inserisce fra i colonnelli di Alleanza Nazionale che Fini punì dopo la famosa “riunione alla caffetteria” a cui erano presenti Matteoli, Gasparri e La Russa. «Quella chiacchierata poteva essere la scusa per cacciare i colonnelli dal partito e accusarli di alto tradimento», scrive. «Quello stesso pomeriggio ci fece fuori tutti». Perché si tenne quella famosa riunione? Perché La Russa e Gasparri - spiega Italo - volevano convincere Matteoli ad affidargli «un ruolo chiave nel partito». Quindi la presunta “cospirazione” di cui i giornali hanno favoleggiato per anni dopo che un cronista del Tempo ne aveva svelato i contenuti, si sarebbe scatenata a causa di Bocchino. Beh, in realtà i tre colonnelli finiani andarono al bar perché erano in pausa caffé durante la costituente del futuro partito unico di centrodestra e non avevano nessuna intenzione di parlare di lui. Così come non risulta che Italo sia stato, come afferma, «mortificato dalla nomina di Landolfi come coordinatore in Campania. Quindi, se fino a un attimo prima ero leader di An in Campania, un attimo dopo mi trovai ad essere scavalcato nella leadership». Veramente il coordinatore della Campania, a quell'epoca, non era lui bensì, dal 2003, Marcello Taglialatela. Al massimo, il mortificato è quest'ultimo. Ma sono piccole cose, di cui l'enfant prodige della destra italica non si cura. Così come non si premura di verificare il nome del celebre critico gastronomico Raspelli, che pur dice di amare alla follia (lo chiama Eduardo e non Edoardo) e della firma del Foglio Stefano Di Michele (chiamato De Michele,  forse perché un tempo era nella nemica Unità). Minuzie, dicevamo, in confronto alla grandeur cui Bocchino aspira: la sua ambizione è ammirevole e dopotutto gli ha permesso di fare strada. Ieri due dei principali quotidiani italiani, Stampa e Corriere,  gli hanno dedicato articoloni firmati da giornalisti di prestigio.  E pensare che fino a poco tempo fa nessuno sapeva chi fosse questo Italo Bocchino. Tanto che lui ha dovuto addirittura scrivere un'autobiografia per spiegarlo.    di Francesco Borgonovo

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