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Bunga bunga di Franceschini. Ma è solo fantasia

Sesso nel nuovo romanzo del democratico, 'Daccapo': i rapporti del protagonista con 52 escort / SPECCHIA

Andrea Tempestini
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E poi dicono che il Pd è un casino. «Ansimava, sentiva l'alito, il profumo della pelle sul collo lunghissimo vedeva dappertutto colori sgargianti...». L'anziano notaio scrollava la coscienza sul letto di morte e confessava al figlio, impettito come un seminarista, d'essere annegato in un bordello: dell'opaca esistenza di provincia stava disvelando il lato nascosto fatto di 52-prostitute attempate-52, di escort dalla mirabile capacità acrobatica, di grovigli di corpi, di umori e sapori, di figli segreti più di quelli disseminati dai papi al tempo dei Borgia. Il tutto annotato in un tripudio di nomi e indirizzi, tra le pagine d'un libretto nero, simile a quello emerso dal dècollettè di Ruby Ribacuori. Si respira un'aria di eros, quasi  un'invidia sottile dello stile di vita berlusconiano in “Daccapo”, la nuova fatica  (anzi, l'unica fatica, di questi tempi...) letteraria qui sopra riassunta di Dario Franceschini, capogruppo Pd alla Camera un tempo vittima dell'utopia veltroniana e ora di un frisson simpaticamente mignottaro. Nulla di male, per carità.  L'Espresso oggi anticipa la trama del romanzo Bompiani: roba molto cochon ambientata in una Ferrara molto poco democristiana che, all'ombra dell'austera Cattedrale di San Giorgio, viene descritta brulicante di prostitute, adulteri, preti spretati, figli di preti. Una città che se non è Arcore, puoi quasi visualizzare mentre nottetempo viene attraversata da pulmini guidati da Lele Mora sgragianti, zeppi di ragazzotte dall'accento brasiliano, in sottofondo l'aria di “Vamonos al bunga bunga”, la canzone del trio Le Munecas (Marysthell Polanco, Diana Gonzales e Aris Espinosa) scritta da Berlusconi di suo pugno. Ad ognuno il suo Bunga Bunga, reale o virtuale che sia. Per tutto ciò, un moto di simpatia ci ha spinti verso Franceschini. E dunque verso il grande immaginario sessuale di quest'uomo esile, claustrale, dagli abiti inattuali quanto il suo partito. Mentre i suoi personaggi si muovono come in un pebenismo borghese alla Pessoa, perfino una delle sue baldracche di nome fa “Forlani”, eco di nostalgico passato. Quel che stride, semmai, è che Dario Franceschini, democristianissimo ex segretario traghettatore d'un Pd traghettato verso il nulla, è tutto tranne che un tombeur de femme.  Il suo incedere spettrale tra le ideologie cattocomuniste e il  suo essere sempre sotto la cresta dell'onda ne hanno fatto un'icona. Per dire: l'immagine che lo rende meglio è quella di Dario sul palco, a cui sottende la didascalia: “Franceschini chiede la parola durante la convention del Pd, non accorgendosi di essere il relatore”. Bellissima. Da qui, dalla presenza gassosa dell'uomo che ricorda il ritratto che il satirico Fortebraccio fece di un segretario socialdemocratico («L'auto si fermò, si aprì la portiera, non ne uscì nessuno. Era Nicolazzi...»), si schiude un mondo. Un mondo che non somiglia affatto a quello della provincia lombarda peccaminosa e lussureggiante delle notti berlusconiane. Eppure il suo eroe, il notaio Dalla Libera dice: «Ci ho messo molto tempo a capire che dentro ogni persona, anche quella che sembra la più austera e fredda, c'è un mondo proibito e stupendo». Peraltro questa tendenza a stanare il proprio vizio di talamo e a illuminarlo come un vezzo pubblico non è nuova tra le istituzioni. Fabrizio Rondolino portavoce  dell'ex premier D'Alema abbandonò la politica per le pagine hard d'un suo romanzo; Corradò Calabrò serioso presidente dell'AgCom venne additato per la scrittura di racconti a luce rossa; l'emerito presidente della Consulta Antonio Baldassarre, ai tempi in cui era presidente Rai, s'accompagnava alla giovane valletta Francesca D'Auria evocando capricciose insinuazioni. L'immaginario erotico del capogruppo Pd, sottoposto a pressioni indicibili e asfissiato da guerre intestine, pare non faccia eccezione. «Fossi uno sconosciuto nessuno si stupirebbe se scrivo di puttane», dice lui.  Ora, esegeti come Jovanotti affermano da sempre che il Franceschini scrittore (“Nelle vene quell'acqua argento” pare fosse un affresco alla Bunuel) sia migliore del Franceschini deputato. E forse è vero. Franceschini del suo talento letterario fa sapere: «..c'è l'aspirazione al mistero, la fascinazione verso vite diverse». Di tutto si poteva pensare ma non che fosse la vita di Silvio... di Francesco Specchia

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