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Francia minaccia: "Addio Schengen, tornino dogane"

"Ora sospendiamo il trattato". Nuova mossa di Parigi contro l'Italia. Poi arriva la smentita Ue. Scontro anche sui beni congelati

Andrea Tempestini
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Soldi e immigrati: prima ha creato il pantano libico, ora prova a sguazzarci. Nicholas Sarkozy ieri ha mandato due messaggi utili a chiarire la strategia per cavare qualcosa di buono (per il suo Paese) dal macello di Tripoli. L'ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati Maggiori Riuniti Usa, ha detto ieri che «ci si sta certamente muovendo verso una situazione di stallo», il che non è esattamente un bagliore di speranza. Se questa è la situazione sul campo, per quanto riguarda la diplomazia l'Eliseo ha fatto capire di essere pronto a sospendere il trattato di Schengen: in maniera velata, spacciando la minaccia come proposta per il vertice di Roma che martedì vedrà attorno al tavolo Berlusconi, Sarkozy e i ministri di Esteri, Interno e Difesa di Italia e Francia. Il guaio per il nostro Paese è che Parigi  ha le carte in regole per dare atto alle “promesse” di alzare i muri alle frontiere. «Abbiamo bisogno di mettere a punto un meccanismo che ci consentirebbe, nel caso di sistematiche difficoltà a una delle frontiere esterne dell'Ue (l'Italia), di intervenire con una sospensione temporanea fino a quando dureranno i problemi», ha fatto trapelare l'Eliseo alla Reuters. Poco vale la successiva “smentita” di un portavoce dell'Ue, che in serata ha chiarito che la Francia «non ha mai ipotizzato una sospensione degli accordi» ufficialmente. Proprio perché non ufficiale, quello di Parigi sembra un modo per arrivare col pugno già sul tavolo al vertice di martedì, facendo la voce grossa di chi è pronto a proseguire la linea dura di respingimenti alle frontiere. La sospensione del trattato sulla libera circolazione è comunque una misura straordinaria a disposizione degli Stati per motivi di sicurezza (l'Italia l'ha attuata per i G8 di Genova e L'Aquila, la stessa Francia per i Mondiali di calcio e dopo gli attentati di Londra).  In questa fase di rimpallo degli immigrati clandestini, bloccare le frontiere avrebbe il sapore di una provocazione politica con l'aggravante della realizzabilità, per di più in condizioni di grave crisi umanitaria. L'ondata dalla Tunisia è stata bene o male contenuta, ora il problema sono i profughi della guerra di Libia che potrebbero arrivare sulle nostre coste. Quello che i tecnici della diplomazia chiamano burden sharing, ossia la condivisione delle grane, all'atto pratico andrebbe così a farsi benedire se le minacce francesi fossero concretizzate. Altra beffa della stessa «fonte vicina» a Sarkozy arriva quando questa si dice «sorpresa» dal risalto che ha avuto in Italia la videoconferenza dei leader di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania sulla Libia: «Siamo molto attenti alle iniziative collettive nella prospettiva della costruzione europea», ha aggiunto. Intanto lo stesso presidente francese ha accolto ieri la richiesta dei ribelli libici, dichiarandosi pronto a visitare a Bengasi i rappresentanti del loro “governo” riconosciuto anche dall'Italia. E facendo sapere - con lo stesso metodo di cui sopra - che martedì si discuterà dell'ipotesi di «scongelare i beni libici bloccati all'estero» in favore del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi. Anche qui siamo davanti a voci fuggite dal seno dell'Eliseo, ma utili a capire le mire francesi per martedì e per il futuro. Tra i beni congelati, per fare solo un esempio, c'è il 4 e passa percento della prima banca italiana. Finirebbero ai ribelli? Vale la pena ripetere l'analisi del presidente della Camera di Commercio ItalAfrica, Alfredo Cestari: «Con la scelta di appoggiare militarmente gli oppositori interni al governo Gheddafi, l'Italia sta perdendo le grosse opportunità garantite, fino a prima della guerra, dal sostanzioso interesse dei fondi sovrani libici nei confronti di Eni, Telecom e di altre nostre aziende, come Telecom, Impregilo, Terna e Generali». di Martino Cervo

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