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Santoro alla sbarra "Ha manipolato le intercettazioni"

Michele a processo: accusato con altri 2giornalisti di diffamazione aggravata contro deputato Pdl / RINALDI

Andrea Tempestini
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Per ora è un'onda di ritorno. Se diventerà uno tsunami, questo ancora non lo si può dire. Di certo c'è che Michele Santoro, Sandro Ruotolo ed un collega del Fatto quotidiano, Antonio Massari, dovranno offrire una spiegazione convincente al giudice monocratico di Catanzaro: che li processerà per diffamazione aggravata dell'ex senatore Giancarlo Pittelli, oggi deputato del Pdl. Nessuna udienza preliminare: il 26 settembre prossimo, nell'aula B del palazzo di giustizia, inizierà il processo vero e proprio dal momento che il pubblico ministero, il dottor Paolo Petrolo, ha chiesto la citazione diretta a giudizio dei tre indagati. E il presidente della I sezione penale, Giuseppe Neri, l'ha disposta fissandone tempi e modi. Perciò la spiegazione dovrà essere convincente. Santoro, Ruotolo e Massari dovranno difendersi dall'accusa di aver assemblato stralci di intercettazioni, captate sul cellulare di Pittelli durante le indagini "Poseidone" e "Why Not" dell'ex pm De Magistris, manomettendo la realtà. Non solo: pure la relativa docu-fiction, cioè uno di quei siparietti con attori dispensati da AnnoZero per render tutto più cinematografico, sarebbe stata costruita facendo un collage tra fatti, circostanze e persone. Le uniche cose che si capirono durante la puntata del 18 dicembre 2008, furono che l'avvocato Pittelli diceva al telefono cose che lo inchiodavano alla colpevolezza, che intratteneva rapporti con personaggi sospetti e che, dulcis in fundo, fra lui e tre milioni di euro in viaggio per la Svizzera, c'era un diretto collegamento. Eppure gli atti giudiziari, nonostante fossero ancora coperti da segreto, parlavano in un'altra lingua. Dice il sostituto procuratore nella richiesta che i tre «mandavano in onda filmati, riportavano e commentavano esiti di intercettazioni telefoniche, nonché esiti di altri procedimenti penali, in modo assolutamente avulso dalla realtà, anche processuale». Due verità tradite, insomma: quella processuale, perchè finanche le carte dicevano il contrario, e quella reale, perché era stato tutto costruito artificialmente. Quella sera l'ignaro telespettatore sentì Ruotolo dire: «Pittelli parla con uno degli indagati dicendo "…se non trovano i soldi finisce tutto qua"…». Subito dopo va in scena il fanta-movie nel quale si vedono due finanzieri su un treno in viaggio per la Svizzera che bloccano due passeggeri con una borsa contenente 3 milioni di euro in contanti. Si trattava dei signori Mercuri, padre e figlio. Sempre l'ignaro telespettatore capisce che tra Pittelli e quel danaro c'è un rapporto diretto e preciso. Santoro dirige l'orchestra, Ruotolo esegue, Travaglio si eccita e Massari, commentando, rincara la dose: «L'ipotesi che emerge dall'analisi dai tabulati sarebbe che stiano portando i soldi all'estero perché si vuol fare sparire traccia di qualcosa, da cui l'intercettazione di cui sopra». Infine, si vedono alcuni passaggi dove un consulente di De Magistris, l'ex ispettore Bankitalia Pietro Sagona, parla di «strane movimentazioni bancarie di Pittelli per due milioni». Inutile dire che Pittelli fu indagato pure per riciclaggio. Messa così, verrebbe voglia di ammanettare chiunque all'istante. Ma, scava e scava, vien fuori altro secondo i magistrati. E cioè: Pittelli parlava al telefono con il cugino (Benedetto Arcuri) tra l'altro neppure indagato, dicendo «O trovano qualcosa di consistente, chessò, danaro o altro, o la procura fa una figura allucinante». Come in effetti è stato. I due tizi beccati con i soldi erano parte di un'altra inchiesta che non c'entrava niente: la procura di Verbania, tra l'altro, archiviò pure il caso perché non c'era materia penale. E Pittelli stesso era stato, nel frattempo, scagionato dall'accusa di riciclaggio: cose che si guardarono bene dal riferire i tre indagati durante Annozero. Quella di Catanzaro non è l'unica grana per Santoro e Ruotolo: anche alla procura di Lamezia giace, inspiegabilmente inevaso dal gennaio scorso, un analogo procedimento intentato da Antonio Saladino, il "perno" dell'indagine-flop chiamata "Why Not". E sempre per la puntata del 18 dicembre. Per le altre, c'è ancora tempo. Mettersi in fila. di Peppe Rinaldi

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