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Allegri...a Milan, lo scudetto numero 18 Da Max al Boa, tutti i voti dei campioni

Il diavolo fa 0-0 a Roma e conquista il titolo. I protagonisti della stagione vincente nel pagellone di Libero

Giulio Bucchi
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Non avesse fatto il mister, proseguimento di carriera inevitabile dopo l'apprendistato con Galeone, Massimiliano Allegri (voto 10) sarebbe diventato un equilibrista: focoso ma mai sboccato (tranne quella volta con i carabinieri), testardo ma non miope, yesman ma anche no. Maledetti toscani. Quando il livornese amante dei cavalli ha messo piede a Milanello (il calcio azzera la politica) sembrava che dovesse durar meno di un cammello al Polo Sud. Il 18° scudetto nella bacheca del Milan insegna che contro di lui non c'è da scommettere. Se si prende a modello il Barcellona, riferimento attuale del calcio mondiale, Allegri non ha portato tanto il gioco champagne (vedere alla voce Milan dei tre mediani) quanto organizzazione, impronta, carattere a una squadra composta di eccellenti solisti: li ha assemblati in orchestra e - cosa più difficile - si è fatto seguire. Sempre ricevendo complimenti da tutti. Ha gestito Ibra, Dinho, Cassano, ha gestito Berlusconi, portandolo dall'esasperazione («Allegri si pettini, quando va in tv») ai complimenti ingombranti («Può continuare la serie dei grandi»). Paradosso, l'assenza prolungata di alcuni big come Pirlo (7), Ambrosini, Inzaghi, Zambrotta (a tutti loro 6.5) invece di ingolfarne i progetti gli ha tolto il peso di fastidiosi dualismi e scelte dolorose; quella che poteva apparire una maledizione da opzioni obbligate si è trasformata in un fattore determinate. Soprattutto perché Max con un gruppo più ristretto ha costruito lo zoccolo duro, spremendo il meglio da tutti (6.5 a Strasser e Antonini, 7 al sempre pronto Yepes e 7.5 al finalmente maturo Abate, che ha imparato pure a difendere). Capolavoro l'intuizione Boateng (9), Prince in tutto, anomalo trequartista inventato dal Max, brillante nei grandi appuntamenti, decisivo in match solo in apparenza semplici come Bologna e Brescia. Atleticamente mostruoso, tatticamente poliedrico, caratterialmente vincente: il ghanese è stato il crac del campionato, prototipo perfetto del calciatore moderno. Voto 8 a Ibrahimovic, come gli scudetti conquistati di fila in tre Paesi diversi. Senza le cinque giornate di squalifica in due mesi sarebbe stato 9, e per la doppia cifra gli manca questa benedetta Champions, ma finché in una squadra c'è lui, c'è anche mezza ipoteca sul titolo nazionale. Scudetto che vince per la prima volta Pato (9): sfiga da barzelletta, abitudine al gol da favola (già 50 con il Diavolo), palle d'acciaio quando il gossip rischiava di stritolarlo: senza Ibra, si è caricato il Milan sulle spalle e ciao Leonardo. Del resto, dal potenziale co-proprietario cosa attendersi di diverso? Primo tricolore pure per Robinho (7.5 perché un attaccante brasiliano che sa anche faticare merita rispetto), Van Bommel (7.5 utile come il pane, Allegri ne è innamorato: spingerà per la riconferma) e Flamini (7: sulla vittoria c'è pure la sua firma), numero due invece (contiamoci anche Madrid) per Cassano, voto 7, basso profilo e astuto nel capire che il jolly l'aveva già giocato a Genova: con Gattuso (7, logoro ma infinito) e Seedorf (7: anonimato e picchi superbi) nei paraggi, alzate d'ingegno erano sconsigliabili. Senza voto Nesta e Thiago Silva, la coppia più bella del mondo: fuoriclassifica. Per ultimo il numero 1, quel Christian Abbiati (8) che va considerato uno dei migliori portieri in Italia e in Europa. È il meno perforato del campionato, solo sei gol subiti nel girone di ritorno; come su quello del '99, lo scudetto passa per le sue manone: se non fosse stato per gli infortuni e le scelte discutibili di molti allenatori, avrebbe avuto una carriera ancora più brillante. di Tommaso Lorenzini

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