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"Vi racconto quello che Sposini pensava del coma"

Il giornalista è in lento miglioramento. Da sano voleva decidere della propria vita (e morte), forse ora... / RIZZOLI

Giulio Bucchi
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Beffardo il destino con lui. Lamberto Sposini che conduceva ogni pomeriggio “La Vita in Diretta”, programma cult di Rai 1 che presenta e analizza in tempo reale gli avvenimenti più belli e più brutti della vita di tutti i giorni, è stato colpito due settimane fa da un'emorragia cerebrale proprio poco prima della diretta dei due eventi internazionali straordinari, come il matrimonio britannico di William e Kate e la beatificazione in Vaticano di Giovanni Paolo II, due eventi che mettere a paragone è quasi blasfemo, ma che la storia ha calendarizzato a solo due giorni di distanza uno dall'altro. Lui era preparato a farlo, ma non ne ha potuto commentare nemmeno un'immagine, perché è stato trascinato in diretta in un  coma improvviso e profondo causato da un accidente vascolare cerebrale, che ha provocato dolore e sconcerto generale. Lamberto Sposini mi aveva invitato più volte nella sua trasmissione, come medico e come deputato, a parlare di vita e di morte, a proposito della legge sul testamento biologico, in queste settimane arrivata in Aula a Montecitorio. Io ripetevo in maniera monotona che noi medici siamo addestrati e abilitati a proteggere e salvare la vita, anche quando sembra perduta, e non ad indurre la morte, e lui che mai avrebbe voluto sopravvivere senza coscienza, pensava che ognuno è libero di scegliere come e quando morire, rifiutando interferenze religiose, scientifiche e politiche. Ma queste sono cose che si dicono da sani. Quando ci si ritrova sdraiati e inerti su un letto di rianimazione, intubati e incoscienti, pieni di fili, di monitor, di flebo e di elettrodi,con l'anima  sospesa tra essere e non essere e con figli che ti aspettano a casa, le cose cambiano e tutte le nostre certezze, che avevamo appunto da sani, iniziano a vacillare. “Sono intervenuto su un paziente gravissimo, con un GCS (Glasgow Coma Scale) di grado 3,il più alto, quello per cui si considera il paziente quasi perso” mi dice il Prof Giulio Maira, il neurochirurgo che lo ha operato al cervello, arrestando con coraggio  un'emorragia di oltre 7cm espansa nell'emisfero sinistro, e che divorava ossigeno all'encefalo. Lamberto Sposini è da allora ricoverato in un letto del reparto di rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma, è stato tenuto in coma farmacologico per qualche giorno,ed ora è in fase di risveglio, non è ancora cosciente  ma risponde agli stimoli dolorosi sia con gli arti superiori che con quelli inferiori, che ritrae con forza, un ottimo segno che allontana il pericolo di temute paralisi.  Il Prof. Maira esclude  che sotto il coma ci sia in agguato uno stato vegetativo e lavora sul paziente con i colleghi rianimatori  per sollecitare  il risveglio definitivo, e facilitare quindi il ritorno della coscienza. Già, risveglio, coscienza … Rifletto che se non ci fosse da mesi il dibattito sul fine vita, quel primario non sarebbe mai così preciso e attento nella scelta delle parole per azzardare una  prognosi. Anzi, molti potrebbero definire il suo intervento chirurgico tentato su Sposini come “accanimento terapeutico” visto che il paziente è arrivato moribondo in sala operatoria e con un elevato rischio, una volta  rianimato, di scivolare davvero in uno stato vegetativo persistente, a causa della prolungata ipossia (carenza di ossigeno) cerebrale sofferta nell'attesa dell'operazione. Questo il chirurgo lo ha pensato,temuto e valutato, ma l'istinto e il compito del medico è quello di salvare la vita umana, anche con un intervento estremo, ad alto rischio, com'è stato quello effettuato sul famoso giornalista. E se questo gli salverà la vita come dovremmo definirlo? Accanimento o intervento terapeutico?  E quando Sposini tornerà  autonomo e cosciente, come ci auguriamo, cosa si dirà? Un miracolo, la potenza della scienza, o la determinazione di un medico? E Lamberto, soprattutto, nella sua vita da sano avrebbe mai dato l'autorizzazione alla sua rianimazione forzata o avrebbe scritto di lasciarlo morire secondo natura? E da giornalista come avrebbe commentato che il momento della sua morte è stato comunque, in virtù dell'abilità di un chirurgo, rinviato a data da destinarsi? Leggo sul mio cellulare i messaggi di Sabina, madre della sua figlia più piccola, che il primo giorno si dispera per lui che “è stato un grande amore” e per la loro bambina che “non avrà mai più il padre che aveva”  temendo conseguenze neurologiche  irreversibili e cercando rassicurazioni, ma che col passare dei giorni acquista fiducia e intravede una ripresa, anche se lenta. "Oggi ha aperto gli occhi” mi dice l'altro ieri “ma è come imbambolato. Non mi riconosce, ma se gli stringo la mano me la stringe anche lui e gli si alza la pressione. Lo dice il monitor che ormai ho imparato a leggere. Ma Lamberto non parla, non mi riconosce, lui non c'è, è assente, non è cosciente. Ma io da un po' non mi dispero più e sai cosa ti dico, che spero nel miracolo!”. Il miracolo è che sia vivo, penso dentro di me mentre ascolto. Quella che Sabina cerca e non ritrova nel padre di sua figlia è l'anima, quella che dà vita al corpo,e che è unica per ognuno di noi, quella stessa anima che il Santo Padre Benedetto XVI assicura che rimane dentro il malato in coma, ma che con il coma si spegne. Ma poi,come per incanto, molte volte, più o meno lentamente,quell'anima che si credeva perduta  all'improvviso ritorna, il corpo si muove, lo sguardo perde la fissità, ritorna la parola, i sentimenti e i ricordi, ritorna cioè la vita intera e lo si capisce immediatamente. Tutto dipende dalla profondità del trauma, dice la scienza. Tutto dipende dalla grazia di Dio che si riceve, dice la fede cattolica. Tutto dipende dalla fortuna, dice la persona laica.  Ma il ritorno della coscienza è sempre un evento che, quando post-traumatico, sorprende anche gli specialisti rianimatori.    Da deputato, che a breve si troverà a votare la legge sul testamento biologico, rifletto su questa storia che conferma che anche nel frangente più drammatico di un caso clinico acuto, c'è sempre una speranza, ed è solo il medico che ha il compito, il dovere e la responsabilità di decidere, e non una rigida legge, qualunque essa sia. Da medico rifletto che la vita di tutti noi e la sua fine naturale di cui tanto oggi si parla, ha comunque necessità di linee guida su alcuni punti indiscutibili, scientificamente provati, certi ed evidenti,  per evitare poi che siano i tribunali a decidere e a determinare il giorno e l'ora della nostra morte, come è già successo per Eluana Englaro.   di Melania Rizzoli medico, deputato Pdl

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